Ero venuto agguerrito e carico di pregiudizi. Funziona sempre così ai premi letterari, poi mi capita di trovarmi a pranzo con gli altri concorrenti e scoprire che (quasi tutti) sono simpatici e allegri, che tutti insieme ci si sforza di penderla come una gita e che tutto sommato quella fascetta sulla copertina del libro non fa tutta questa differenza.
Così questa sera se avesse vinto Tommaso Pincio o Angelo Petrella mi sarebbe stato bene. Non sono così falso da arrivare a dire che sarei stato contento, ma sono simpatici, molto simpatici e magari gli ultimi ossicini del rospo sarebbero andati giù più facilmente. Avrei ben tollerato la vittoria di Valerio Varesi, che al Premio Scerbanenco è un po' come Francis Ford Coppola all'Oscar fino all'anno scorso: sempre candidato e mai una statuetta.
E invece ha vinto Paola Barbato.
Devo confessare che non ho letto nessuno dei libri in gara. Mi riprometto di leggere Cinacittà di Pincio e La città perfetta di Petrella, ma fino ad ora il mio giudizio si è dovuto limitare alla prima impressione che mi hanno fatto le persone. Il che in letteratura è un paradosso, perché in genere si ama uno scrittore fino a scoprire che è un odioso farabutto e nonostante questo a volte la passione resta. Con i miei compagni di avventura allo Scerbanenco, invece, ho dovuto fidarmi non della parola scritta, ma di quella parlata; delle risate condivise invece che di quelle descritte su pagina. E mi è andata bene. Con Varesi, tipo riservato e attento, ho avuto una breve, ma interessante conversazione sulla sceneggiatura e su Parma. Con Pincio e Petrella ci siamo fatti proprio delle gran risate. Ero persino partito prevenuto nei confronti di Tommaso, perché uno che abbandona il proprio nome per assumere uno pseudonimo che ricorda Thomas Pynchon mi insospettiva. E invece è una persona sensibile e divertente, ironica e mai cinica. Angelo, poi, è vero spasso.
Su Paola Barbato non posso dire nulla. Assolutamente nulla, perché non ho scambiato con lei neppure due parole. Posso solo dire che non mi è piaciuto il tono con cui ha risposto alle domande di Valerio Calzolaio, incaricato di presentare il suo libro.
Questa la motivazione con cui le è stato assegnato il premio:
“Il romanzo traccia a tinte forti una realtà oscura e alternativa fatta di violenze sotterranee e destini emarginati ed è caratterizzato da una scrittura cupa e claustrofobica che preme sulla pagina come una cappa di piombo dalla quale i personaggi non riescono ad emergere. Ma nel suo delirante parossismo il romanzo delinea le coordinate di un mondo in cui la quotidianità diventa il miraggio a cui i protagonisti neanche provano ad aspirare dal basso del loro delirio di violenza”.
Un noir, non c'è dubbio.
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