Due Madri - il booktrailer - in libreria dal 14 aprile

sabato 30 aprile 2011

Ecco cosa ci mancava: i TQ!

Sentivo la mancanza di qualcosa. Sentivo che intorno a me non si coagulava qualcosa, qualcosa come un MOVIMENTO capace di produrre un bel MANIFESTO pieno di RIVENDICAZIONI. Ora per fortuna c’è. Leggo su Repubblica (30 aprile pag. 42 R2 Libri) che è nato TQ, acronimo di Trenta/Quarantenni: scrittori, critici ed editori (sic) ansiosi di reclamare il proprio ruolo nella vita intellettuale nel Paese.

Ne fanno parte alcuni che conosco e apprezzo come Giorgio Vasta, altri che ho appena incrociato e non apprezzo neppure un po’ come La Salma. Nessuno di loro ha grandi performance da classifica (per quello che possono valere le classifiche) al loro attivo, ma tutti loro sono indubbiamente scrittori veri. Scrittori che – per loro stessa ammissione – vivono di scrittura.

Ma non vivono abbastanza bene, a quanto sembra, perché dalle citazioni raccolte dal giornalista Dario Pappalardo si capisce (laddove non è detto senza troppi giri di parole) che quello che angustia di più i TQ è il pericolo di non arrivare a fine mese. Ed è sintomatico che tra le loro proposte più ardite ci sia il ripristino in Rai di trasmissioni come Pickwick, che Baricco conduceva all’inizio degli anni ’90 e di cui io per primo non mi perdevo una puntata.

Giusto, giustissimo. E poi? Poco altro, se non affermazioni come “ci siamo talmente alfabetizzati sul versante diagnostico…” e “recuperare il diritto a scolpire lo spazio sociale….” che già da sole puzzano di cantina umida e prudono come un maglione a collo alto sotto una giacca di velluto a coste. O piagnistei tipo “la nostra è una generazione di traumatizzati senza trauma”.

E’ strano, perché in teoria io sarei un TQ dalla testa ai piedi: ho poco più di 40 anni e sono uno scrittore, eppure non mi sento affatto traumatizzato, non voglio scolpire alcuno spazio sociale e non credo di essere scientemente in grado di diagnosticare null’altro che un raffreddore a uno dei miei figli. Quindi cosa c’è che non va?

Forse la differenza non è generazionale, ma tra scrittori che vogliono solo raccontare storie e scrittori che ambiscono a vestire i panni degli intellettuali. Con l’unico scopo – è il mio amaro sospetto – di andare a occupare quelle caselle di maître-a-penser della cultura italiana che presto o tardi gli intellettuali della generazione dei babyboomer si decideranno a lasciare (per loro volontà o per sorte naturale) e che magari possano garantirgli prebende vitalizie. O, peggio ancora, per fare muro contro i VC, i Venti/Cinquantenni che conquistano la classifica con libri godibili, leggibili e condivisibili dal pubblico. Opere popolari né più ne meno come lo erano quelle di gente come Hugo, Dickens, Twain, Tolstoj. E se le cose stanno così, io, da Trenta/Quarantenne dico che non ho bisogno di alcun MOVIMENTO o MANIFESTO che RIVENDICHI cose che dovrei guadagnarmi da solo, lavorando sodo e senza aspettare che qualcuno si faccia da parte per lasciarmi spazio.

venerdì 22 aprile 2011

Come deve essere un libraio?

Come dovrebbe essere un libraio? Cortese innanzitutto, perché il suo è un mestiere difficile: deve vendere qualcosa che non ha mai avuto troppa fortuna, a eccezione di alcuni casi clamorosi. Il libro è di qualche secolo più vecchio dell’mp3, del cd e del vinile, ma ho il sospetto che se si mette insieme la musica che è stata venduta negli ultimi cento anni, il volume di libri venduto negli ultimi 600 anni impallidisce. E con il cinema come la mettiamo? C’è gente in giro che anche se non necessariamente analfabeta può dire (quando non se ne vanta) di non avere mai letto un libro. Quanti possono dire di non avere mai visto un film? Forse solo il teatro ha più difficoltà a conquistare pubblico, almeno da quando sono nati nell’ordine la radio, la tv e YouTube.

E poi, come deve essere un libraio? Simpatico? Non necessariamente. La voglia di apparire simpatico scivola facilmente nella molestia, specie con il difficile pubblico occasionale di una libreria. E allora? Intuitivo. Deve saper cogliere al volo che tipo è il suo cliente, anzi: il lettore che varca la soglia della sua libreria. Perché c’è la buona possibilità che se qualcuno entra in una libreria non sia necessariamente sotto Natale e non solo per comprare un libro di Bruno Vespa. Il libraio deve sapere cogliere al volo quel qualcosa nello sguardo, nei movimenti, forse persino nell’abbigliamento del cliente – o del potenziale cliente – che gli permetta di dare il consiglio giusto, ma ancora prima di capire se il lettore è alla ricerca di un consiglio.


Perché perdersi tra centinaia, migliaia di titoli è facile e spesso serve un mentore che faccia capire quale può essere la scelta giusta. Come insegnano nelle scuole di sceneggiatura, il mentore porta il lettore ad accettare quella chiamata all’avventura che è la lettura di un libro. Un’avventura che può essere così disastrosa da essere abbandonata dopo poche pagine o così travolgente da spingere alle lacrime: di gioia, di nostalgia o di dolore.


Se il libraio/mentore riesce a dare il consiglio giusto, il lettore tornerà per vivere un’altra avventura. Altrimenti si perderà altrove, magari in un mega-bookstore dove i titoli sono decine di migliaia, ma non c’è lo spazio per sedersi e sfogliarne neppure uno. O dove non ci sono librai, ma commessi così impreparati da far venire il sospetto che il loro sogno sia vendere mortadella e solo accidentalmente siano finiti al banco dei libri. O così sgarbati da spingere a immaginarli nella loro camera in affitto, davanti a una pagina bianca mentre cercano l’incipt giusto per il romanzo che non scriveranno mai.

martedì 19 aprile 2011

Difendere il libro nazionale!

Fino a qualche anno fa, prima che l’incresciosa parcellizzazione della proprietà delle sale cinematografiche fosse risolta con uno sano duopolio che ha ridotto di fatto a due i protagonisti della distribuzione, in Italia capitava ancora di dibattere su un tema un po’ peregrino: la protezione del prodotto cinematografico nazionale.

Oggi quel dibattito si è spento: nessuno pensa più di fare come i francesi – di imporre cioè una quota di produzione nazionale a ogni distributore – e si può allegramente riservare al cinema italiano una porzione di sale nelle quali però trova spazio solo e soltanto la commedia. O il film adolescenziale. O qualunque cosa il volubile e lunatico mercato decida che va bene in quel momento. Ho maturato il sospetto che una realtà in crisi finisce per diventare bulimica.

L’esempio del cinema è calzante: la crisi delle sale crea un ingolfamento intorno a una manciata di titoli, così alcune emerite boiate vengono distribuite in 6-700 copie perché nessuno (ma proprio nessuno) possa dire: “non sono riuscito a vederlo perché nella multisala vicino a casa non lo proiettavano”. E torniamo così al monopolio dei pochi: titoli e distributori. Nelle librerie succede l’opposto, almeno per quanto riguarda i titoli.

Mi sono sempre battuto e sempre mi batterò per le librerie indipendenti perché solo un libraio vero, di quelli che leggono i libri che vendono, può consigliare al lettore giusto il libro giusto. Attenzione: ho detto lettore e non cliente, perché il rapporto tra chi vende un libro e chi lo legge non potrà mai essere simile a quello di chi vende una fetta di mortadella e chi se la mangia.

E invece oggi quando si entra in un negozio delle grandi catene, è come entrare in un ipermercato di Long Island: file su file su file di prodotti (qui sì non più libri, ma prodotti) che disorientano il lettore che non sia entrato con un’idea già ben definita. E a ben guardare si scopre che una schiacciante maggioranza di questi titoli sono stranieri. C’è di tutto – non soltanto statunitensi come piacerebbe credere ad alcuni apocalittici – ma francesi, britannici, neozelandesi, africani...

Un lettore è indotto a pensare che se un editore lo ha pubblicato è perché ci crede davvero. Perché quel titolo lo ha tenuto d’occhio a lungo, meditato, valutato. Ha cercato il traduttore adatto e ne ha curato il lavoro; ha contatti stretti con l’autore e con i suoi agenti, li informa dell’andamento delle vendite, li coinvolge nel lancio per far conoscere al lettore italiano un autore senegalese (o gallese o irlandese o islandese) semisconosciuto in patria.

Nulla di tutto questo, almeno quasi mai. Nella maggior parte dei casi i titoli vengono acquistati alle fiere internazionali con le stesse dinamiche con cui una fabbrica di indumenti (non voglio dire un’azienda di moda) acquisterebbe stoffe dai rappresentanti dei produttori locali. Quanto volete che costi un titolo così? E’ un affare quasi mai in perdita, perché il romanzo islandese viene acquistato insieme a quello senegalese e a quello gallese a una cifra spesso irrisoria, viene stampato e lanciato sul mercato nel giro di sei mesi. Nulla a che vedere con il faticoso lavoro di preparazione e lancio di un autore italiano che deve essere innanzitutto pagato in maniera adeguata (o quantomeno onesta), che ha bisogno di un editor che lo segua nelle fasi della scrittura (altro costo) e che poi non mancherà di lamentarsi della distribuzione, dell’ufficio stampa, della promozione, inseguirà attimi di vanagloria in tv e sognerà il divano di ‘Parla con me’.

Tutte spese, fatica, impegno che lo scrittore senegalese e quello statunitense non richiedono. Per l’autore americano che in patria ha venduto qualche centinaio di migliaio di copie , pubblicare in Italia è come per Paolo Giordano essere tradotto in urdu: un dettaglio in una storia di grande successo, ma nulla di più. Per un autore senegalese arrivare nelle librerie italiane è solo una tappa nella conquista di mercati molto più succulenti, come quello tedesco, francese o americano.

Scommettere su un titolo straniero, insomma, è molto più semplice e a buon mercato. In caso di fallimento si ammortizzano i costi con grande facilità e in caso di successo si guadagna in modo esponenziale e si conquista un posto nel paradiso dei talent-scout.
E nella marea di autori internazionali da una botta e via (di quelli che non torneranno mai più sugli scaffali delle Feltrinelli e delle Mondadori perché non hanno superato le cinquecento copie di venduto), gli italiani soffocano e scompaiono, si contendono le attenzioni degli uffici stampa e dei giornali e quella un po’ provinciale di pagine culturali sempre più attente a quello che succede ovunque tranne che in casa.

Non ci sono colpe per questo fenomeno. Né colpevoli. “E’ la globalizzazione, bellezza” mi ha detto una volta un imprenditore italiano che ha delocalizzato in Cina la produzione di tute da sci. E l‘unica cosa che gli autori italiani possono fare è raccogliere la sfida e fare meglio degli altri, perché solo puntando sulla qualità si riesce a riconquistare una fetta di mercato che altrimenti è destinata a essere sempre più parcellizzata e sbriciolata. Una partita difficile, da giocare libreria per libreria. A condizione, però, che le case editrici non restino a bordo-campo a sorseggiare caffè Borghetti, aspettando di vedere come va a finire.

lunedì 11 aprile 2011

Rimorchiare in stile ER


Questa va raccontata subito! Sono sul treno, di ritorno verso casa. Un passeggero ubriaco come una scimmia si sente male e cade sul pavimento. Abbiamo appena superato la fermata 'Gemelli' e ovviamente sono saliti alcuni studenti di medicina. Una ragazza si prodiga nei soccorsi, chiamiamo il capotreno e il 118. Fermi in attesa alla stazione, il mio vicino di posto, un tipo più o meno della stessa età della giovane dottoressa, attacca bottone con lei. Indovinate come va a finire: mentre aspettiamo con 28 gradi all'ombra che arrivi un'ambulanza, i due si organizzano per scendere fra un paio di fermate e farsi un aperitivo. Se poi magari si sposano cosa racconteranno del loro primo incontro? ;)

domenica 3 aprile 2011

Vi regalo un racconto per conoscere meglio Tanlongo


E' stato bello vedere quanta curiosità ha solleticato il mio nuovo romanzo, 'Le mani sugli occhi'. Ed è stato fantastico rispondere alle vostre domande nell'intervista in diretta sulla fan page di Piemme su Facebook. Alcuni, in diverse occasioni, mi hanno chiesto quanto 'Le mani sugli occhi' sia legato al 'Corruttore'. Quanto, cioè, sia godibile pur senza aver letto il prequel.


E' la stessa domanda che ho posto alla mia editor quando le ho consegnato la prima stesura di 'Le mani sugli occhi'. E sono stato felice della sua risposta: "assolutamente". Ho lavorato su questo nuovo romanzo stando attento a non farlo essere un semplice sequel. Non volevo che fosse l'appendice di una storia che ha avuto davvero un bel successo e mi ha dato grandi soddisfazioni, ma un romanzo forte, potente, che vivesse di vita propria e, casomai, spingesse il lettore a scoprire di più. Ne ho già scritto QUI.


Vittorio Tanlongo, il protagonista di entrambi i romanzi, ne esce come un personaggio ancora più complesso, più sfaccettato. Ed è normale che qualcuno mi abbia chiesto se ci sarà un terzo episodio: una storia che riprenda la storia di Tanlongo lì dove l'hanno lasciata le pagine di 'Le mani sugli occhi'. Questo non posso ancora dirlo, anche se devo ammettere che già le dita mi prudono dalla voglia di andare avanti con questo personaggio e di scoprire io stesso, per primo, dove mi porterà.


Intanto però c'è una storia che posso già regalarvi. Voglio raccontarvi da dove viene Vittorio Tanlongo. Per questo ho scritto un racconto in formato e-book che potete scaricare gratuitamente QUI dalla mia pagina sul sito della Piemme. Potete leggerlo sul vostro iPad, iPhone o su qualunque e-book reader. Oppure potete scaricare la versione in pdf e leggervelo al computer o stamparlo. Insieme avrete le prime venti pagine de 'Le mani sugli occhi': un assaggio per invogliarvi a seguire ancora oltre Vittorio Tanlongo. Buona lettura!