Due Madri - il booktrailer - in libreria dal 14 aprile

martedì 2 novembre 2010

"Ah, beh" tutto questo lo sopporterò ancora

Forse dagli scrittori non ci si dovrebbe aspettare discorsi moralistici. Forse oggi per farsi ascoltare bisognerebbe dire qualcosa di controcorrente, qualcosa che vada contro la morale imperante e in senso opposto al mainstream.
Quindi se oggi dico che ho la nausea per quello che accade sono un moralista o vado controcorrente? Sono un apocalittico o un integrato?

La questione è molto semplice: mi preoccupa il vertiginoso abbassamento della soglia morale di questo Paese. Bizzarro, vero? Sono un giornalista, dovrei avere una buona dose di pelo sullo stomaco e di cinismo a buon mercato nelle vene. Sono anche uno scrittore e ne "il Corruttore" ho raccontato ricatti sessuali ai politici prima che diventassero cronaca quotidiana. Quindi non dovrei vedere nulla di nuovo all'orizzonte se non ciò che ho già immaginato grazie a quella che un giorno qualcuno ebbe a definire l''innata capacità degli autori di narrare alcuni eventi prima che accadano".

E invece quello che vedo mi nausea. Mi nausea soprattutto un intercalare che è ormai diventato come una panacea per tutti gli scandali del Paese e i crimini quotidiani.
Mi nausea il "ah, beh...".

Qualcuno la domenica si presenta al lavoro regolarmente ubriaco, collassa sulla scrivania e contribuisce con grado zero (ma almeno 14 gradi alcolici!) al benessere dell'azienda (e quindi anche al tuo), ma nonostante questo si porta a casa un sostanzioso domenicale? "Ah, beh, ma quello è una causa persa. Lascialo perdere, poveretto"

Un ragazzo di vent'anni sferra un cazzotto a una donna di trentadue e ne provoca 'preterintenzionalmente' la morte? "Ah, beh, lei se l'è cercata, perchè se vai dietro a uno che non sai chi è e gli dai scappellotti e calci e lo insulti poi non devi stupirti se quello ti molla un papagno e ti manda all'altro mondo"

Una banda di pazzi furiosi massacra un tassita perchè ha investito un cane? "Ah, beh, ma in quella zona lì ne succedono anche di peggio"

Un presidente del Consiglio dice una balla da incidente diplomatico a un poliziotto per far rilasciare una minorenne fermata per furto? "Ah, beh, ma se a quello gli piacciono le donne che male c'è? Sempre meglio di Marrazzo che andava coi trans. E poi vuoi mettere quello che ha fatto per il Paese?"

Ah, beh...
Mi viene in mente una delle citazioni più famose da un film straordinario: Quinto potere. "Sono incazzato nero e tutto questo non lo accetterò più!"
Vorrei gridarlo anch'io, ma so che suonerebbe come una promessa che non sarei capace di mantenere.

lunedì 25 ottobre 2010

18 giorni alla consegna

Anche gli scrittori hanno delle scadenze. Oppure credevate che uno si mettesse lì a creare la sua opera e poi la portasse bel bello all'editore per la pubblicazione? Forse qualcuno che lo fa c'è ancora, ma se si lavora con una grande casa editrice, di quelle che pubblicano centinaia di titoli, non ci si può presentare con il manoscritto e il sorriso sulle labbra e sperare che venga pubblicato tre mesi dopo. No, la cosa è gestita con ampio anticipo dagli agenti letterari e dal direttore editoriale che stabiliscono insieme qual è il periodo migliore per l'uscita del romanzo e fissano sul calendario una serie di simpatiche bandierine: data firma contratto; data consegna prima versione; data prima revisione; data prima bozza; data consegna ultima bozza e poi... via! L'uscita in libreria.
La mia scadenza è fra 18 giorni.

Quando ho firmato il contratto l'ho fatto anche con una certa spocchia: mi stavano dando un sacco di tempo per scrivere il nuovo romanzo. Un sacco di temo per i parametri del giornalista d'agenzia, uno che quando si mette a scrivere un pezzo lo fa con la consapevolezza che doveva essere pronto due ore prima.
Ma quel mucchio di tempo si è ristretto a un pugno di giorni. Diciotto, per l'esattezza.

Non sto messo male. Sono davvero al rush finale, mi mancano gli ultimi capitoli e so - o almeno credo di sapere - dove andrà a parare la mia nuova storia. Sono stato molto diligente e ho scritto con costanza, senza mai perdere il filo della narrazione e con un rigore da preparazione atletica.
Solo che molte cose sono successe nel frattempo, prima fra tutte la promozione a responsabile della redazione NewMedia, che negli ultimi tre mesi e mezzo mi ha tenuto dieci ore al giorno in agenzia. Però ho cominciato ad andare al lavoro con il treno e questo ha concesso ben 100 minuti al giorno di totale immersione nella scrittura. Ogni giorno, appena preso posto, ho acceso il fedele iPod, l'HP EliteBook 2530p e mi sono isolato dal resto del mondo. Cinquanta minuti all'andata e cinquanta minuti al ritorno di scrittura pura, senza nulla che potesse distarmi. E il mio cervello deve essersi talmente abituato che se all'ora prevista non ero in assetto da scrittura cominciavano a prudermi le dita per la voglia di riversare sulla tastiera parole su parole.

Però arriva anche il momento in cui bisogna dedicarsi interamente alla scrittura. Conosco ormai talmente bene i miei personaggi da poter prevedere ogni loro mossa - su questa cosa un po' pirandelliana prima o poi dovremo intrattenerci - e so dove la storia deve approdare. Così ho preso una settimana di ferie per chiudermi in casa e portare la nave in porto.

E' una bella sensazione: un acquazzone impietoso oltre la finestra, un buon caffè sulla scrivania, Musicovery settato su un canale giusto e una vecchia, morbida felpa Old Navy addosso.
E... mio Dio che voglia di scrivere!

domenica 17 ottobre 2010

Terzo atto per il grande Scarda

Tutto quello che so di sceneggiatura lo devo a Francesco Scardamaglia. Dopo di lui sono venuti altri maestri, come Gino Ventriglia e Stefano Reali, ma come per le paperelle appena uscite dal guscio, l'imprinting me lo ha dato lui. Da Gino e Stefano ho imparato una quantità di straordinari meccanismi e segreti della narrazione cinematografica e televisiva, ma quello che davvero mi ha introdotto nel mondo della sceneggiatura è stato Scardamaglia. Forse è stata solo una coincidenza temporale, magari il fatto che le prime lezioni 'italiane' del corso di sceneggiatura Rai-Script fossero affidato a lui, dopo una full immersion con Linda Seger.
Ma non può essere solo questo. Magari ha avuto un certo peso scoprire che proprio lui aveva sceneggiato i film che più ho amato nella mia infanzia, primo fra tutti 'Altrimenti ci arrabbiamo' di cui consumai la colonna sonora dei frateli De Angelis su un vecchio mangiadischi arancione. O forse il fatto che fu lui a fare da tutor a me e a Mirco Da Lio per il nostro saggio di fine corso. "Ragazzi, dovete giocarvi tutto in una puntata" ci disse quando gli presentammo la bibbia di una serie che avevamo intitolato 'A regola d'arte', "quindi metteteci tutto quello che vi pare: i botti, gli aerei, gli spari, gli inseguimenti, i nazisti. Tutto". Noi lo prendemmo alla lettera e ci mettemmo proprio tutto: dai nazisti agli aerei. Venne fuori un lavoro di cui era soddisfatto e noi orgogliosi. Oggi ho un rimpianto: non aver mai lavorato davvero per lui. Sono sicuro che avrei continuato a imparare.
Ciao Francesco.

lunedì 13 settembre 2010

Un grande democratico

Ho appena letto un'intervista ad Ahmadinejad rilanciata da 'Internazionale'. Mi ha fatto venire in mente un paio di episodi bizzarri. Uno è la sua conferenza stampa-fiume alla Fao un paio di anni fa. Un'esperienza delirante in cui il presidente iraniano parlò di tutto: dalla grandezza di Roma a Gesù Cristo al declino dell'Impero americano. L'altra è più recente e forse ha lasciato nella mia memoria un segno più profondo.
Qualche mese fa un noto accademico, esperto del mondo orientale, è venuto in redazione per la firma di un importante accordo di collaborazione. Prima di andarsene, tra strette di mano e sorrisi di reciproca soddisfazione, ha buttato là una frase quasi senza farci caso. La riporto virgolettata testuale e vi assicuro che il fatto che sia presa fuori contesto non ne altera il senso: "l'Iran è la più grande democrazia del Medio Oriente".
Mi è tornata in mente perchè Ahmadinejad nell'intervista che ho letto afferma la stessa cosa. "In quale Paese occidentale" dice, "va a votare l'80 per cento della popolazione?". Credo che accadesse nella Bulgaria pre-1989 e credo che accada ancora oggi a Cuba, in Corea del Nord e fino a sette anni fa accadeva in Iraq. E' interessante notare come sia caratteristica dei regimi forti - o, diciamola tutta, delle dittature - considerare l'alta affluenza al voto un segno di legittimità dell'eletto e del suo regime. Fino a pochi anni prima che avessi l'età per votare, in Italia il voto era obbligatorio, anche se nessuno mi ha mai spiegato con chiarezza quale fosse la pena - o la penalità - per gli astenuti. Credo che non si potesse considerare neppure quello un alto indice di democraticità.

sabato 31 luglio 2010

Nessun eroe

Aspettavamo la cena. Eravamo su di giri perchè era finita. Se voleva Dio era finita. Indossavo l'ultima camicia pulita che mi era rimasta: le altre erano impregnate di sudore, lacrimogeni, gas urticanti, fumo e polvere. Non sarebbe bastato un ciclo in lavatrice per sbarazzarsi di quella puzza.

Aspettavamo la cena senza convinzione: non avevamo voglia di mangiare, ma una fame famelica, arretrata da giorni passati in strada a scansare le sassate, le molotov e le manganellate. Eravamo partiti in 12: una bella squadra di giornalisti, coordinata bene, per seguire il G8 di Genova. Sapevamo che ci sarebbero stati dei casini e così la pattuglia di cronaca era particolarmente nutrita. Gente in gamba, che aveva fatto la Somalia e non si sarebbe lasciata spaventare da quattro ragazzini armati di sanpietrini. E invece era andata a finire in un altro modo: c'era scappato il morto, la situazione era andata completamente fuori controllo e in strada ci eravamo ritrovati anche noi che eravamo partiti in giacca e cravatta e dovevamo solo seguire le delegazioni internazionali ai negoziati nella Stazione Marittima.
Ma ringraziando Iddio era finita. Nessuno di noi si era fatto male, a differenza di altri colleghi di altre testate che avevano preso botte e pietrate eppure l'indomani erano tornati in strada ansiosi di raccontare come sarebbe finita la battaglia di Genova.

La battaglia era finita e aspettavamo la cena raccontandoci quanto eravamo stati bravi, quanti buchi avevamo dato a quegli altri che erano il doppio di noi, ma si erano incartati come dei principianti.
Eravamo stati bravi, ed era finita. Non eravamo degli eroi e non pensavamo di esserlo. Avevamo raccontato quello che c'era da raccontare e l'avevamo scampata E questo era sufficiente. Neppure ne avevamo visti di eroi: nè tra i ragazzi che assaltavano i fuoristrada dei Carabinieri a colpi di estintore, nè tra i celerini che sparavano i lacrimogeni ad alzo zero.
Nessun eroe.
Aspettavamo la cena e all'improvviso i cellulari avevano preso a squillare. Uno, due, tre, poi tutti insieme. Stava succendendo qualcosa in una scuola. La polizia aveva preso d'assalto uno dei posti in cui si erano radunati i dimostranti.

I piatti erano appena arrivati, ma quelli della cronaca non li hanno neppure guardati: sono schizzati via mentre noi ancora pensavamo che ci eravamo illusi.
Non era finita.

domenica 25 luglio 2010

Elogio del coattume

Gli amanti delle conspiracy theory dovrebbero tralasciare per un po' le baggianate sull'11 settembre e sulle scie chimiche e concentrarsi su quello che Sky Tg24 sta facendo con un paio di ragazzotte romane molto, molto coatte. Complice la penuria di notizie e la calura estiva, qualcuno nell'edificio tutto-vetro di via Salaria deve aver pensato che può essere divertente giocare per qualche tempo a Ed-Tv e trasformare in un reality la vita di due borgatare sorprese a parlare come i personaggi di un film di Verdone sulla verdonissima spiaggia di Ostia.

Tutto è cominciato con un'intervista alle due - entrambi più o meno sedicenni - che dicevano di voler combattere la calura a colpi di Calippo e di bira. Il video dura meno di un minuto e prima che su YouTube avesse più di 500 visualizzazioni, Sky la sparava come 'il tormentone dell'estate'. In realtà non era affatto un tormentone, ma a forza di farlo passare in loop ogni mezz'ora, Sky è riuscito a farcelo diventare. E non contento di aver donato alle due il loro quarto d'ora di gloria, il Tg è tornato oggi con un servizio in cui mostra come siano diventate le star della spiaggia, puntino a fare cinema e tv e siano invitate a fare serate nei locali del litorale romano.

Chiosa finale su un dettaglio che il servizio cerca di far passare per trascurabile, ma che a ben pensarci trascurabile non è: una delle due a 16 anni è ancora in terza media perchè è stata seccata, cioè bocciata per ben due volte. "Però so' simpatica" si consola suggendo l'ennesimo Calippo davanti alla telecamera come se cercasse di consolare quelle migliaia di genitori che - attoniti davanti alla tv - si domandano perché le loro figlie, invece di perdere tempo a studiare, non cerchino di conquistare il loro quarto d'ora da Grande Fratello facendosi una bella bira sulla sabbia arroventata.

venerdì 2 luglio 2010

Uomini, scrittori e caporali al Ninfeo dello Strega

Ci sono occasioni in cui bisogna guardare ai dettagli. Dettagli che solo la tv può regalare e che possono svelare molte cose che stando sul posto non si potrebbero cogliere. Se ieri sera fossi stato al Ninfeo invece che a casa, mi sarei perso alcune piccole cose rivelatrici del carattere dei finalisti dell'edizione 2010 del Premio Strega. Il vincitore, innanzitutto. Antonio Pennacchi mi sta davvero simpatico, perché rappresenta quella romanità genuina che sono alcuni romani d'adozione riescono a coltivare e maturare. Ho letto degli estratti del suo 'Canale Mussolini' e sono convinto che deve essere un buon libro, tanto che la mia prossima puntata in biblioteca sarà per consegnare Nicolai Linin e ritirare il suo. Però non bisogna confondere le qualità dello scrittore con le qualità dell'uomo. Non svelo nessun mistero se dico che spesso ottimi scrittori sono uomini discutibili. E devo dire che ieri qualche perplessità me l'ha suscitata una battuta di Pennacchi. Una di quelle cose dette quasi senza pensarci, nella convinzione che i microfoni siano spenti o che quello accesso nei paraggi sia abbastanza lontano da non captare parole inopportune. Ieri sera Pennacchi è salito sul palcoscenico del Ninfeo con un bastone perché il mal di schiena gli impediva di muoversi con agilità. Quando i fotografi gli hanno chiesto di salire sul palchetto per essere più visibile, qualcuno lo ha aiutato e lui si è lasciato sfuggire questa battuta: "piano che sennò faccio la fine di mio fratello".
Conoscevo Gianni Pennacchi perché abbiamo fatto alcune missioni insieme. Era un buon giornalista, uno di quelli che non si danno arie e fanno bene il loro lavoro, senza risparmiare consigli ai colleghi meno esperti. E mi ha molto impressionato la fine che Gianni ha fatto. A Natale scorso si è arrampicato su una scala per prendere dal soppalco l'albero sintetico da addobbare, ha perso l'equilibrio, è caduto male e si è provocato una bruttissima emorragia interna che non gli ha lasciato scampo. Una morte stupida, ingiusta, che ha molto colpito tutti noi che lo conoscevamo. Una morte su cui non non avremo mai scherzato. E invece chi ci ha scherzato è stato proprio suo fratello che pure meno di cinque minuti dopo gli ha dedicato lo Strega.
Un altro episodio riguarda il Grande Trombato di questa edizione. Paolo Sorrentino è senza ombra di dubbio uno dei migliori - se non il migliore - regista italiano in circolazione. I suoi film sono stati tutti grandi successi di critica (cosa alla quale i cineasti italiani tengono molto di più che al botteghino) e l'arrivo in cinquina con il romanzo d'esordio sembrava più un capriccio d'autore che una vera pretesa. Eppure lui - l'unico che da una mancata vittoria non aveva da rosicare più di tanto - intervistato da Lamberto Sposini sulla modesta prestazione del suo 'Hanno tutti ragione' tra i 400 amici della domenica, si è lasciato andare a un paio di commenti da rosicone d.o.c. che dovrebbero aver amareggiato i suoi fan meno smaliziati. Roba che neppure la Salma sarebbe riuscito a eguagliare.
Ma la vera grande sconfitta non è Silvia Avallone che - da ragazza intelligente qual è - ha capito bene che il caso Paolo Giordano è l'eccezione e non la regola, ma la Rizzoli che dopo aver speso una barca di quattrini nella promozione di 'Acciaio' e aver schierato al Ninfeo non l'artiglieria pesante, ma l'arsenale nucleare (Cesare Romiti e Paolo Mieli in persona) ha incassato l'ennesimo ceffone a due mani dalla Mondadori. Si parla tanto di strapotere della Mondadori, ma nessuno si domanda se invece non ci sia qualcosa (o qualcuno) di profondamente sbagliato nell'organigramma della Rizzoli. Che per quanto si possa organizzare una massiccia campagna di lancio su un romanzo che a detta di molti è davvero buono (ahimè confesso di non averlo ancora letto) resta una cialtroneria di fondo capace di minare qualunque sforzo. E parlo per esperienza diretta: chi segue questo blog sa che ho una controversia in corso con la Rizzoli per il fatto che ha utilizzato il titolo 'Il Corruttore' per il romanzo di un celebre psichiatra appena sei mesi dopo che il mio 'Il Corruttore' era stato in finale allo Scerbanenco proprio con un altro libro di Rizzoli. Qualcuno non si è neppure preso la briga di andare a controllare su Google: ancora oggi sono la seconda voce nel motore di ricerca e allora ero la prima. Ma ci sarà pure un giudice a Berlino...

sabato 12 giugno 2010

La vuvuzela nella lista nera!

L'uomo che vedete nella foto rischia di essere perseguito per crimini contro l'umanità. Calcolando una media di 500 milioni di telespettatori per ogni partita dei Mondiali in Sudafrica, bisogna tenere conto dell'impatto planetario di quello che Roberto Alajmo ha definito "rottura acustica di coglioni" in un post sul suo blog. In tempi non sospetti, durante la Confederation Cup mio figlio - grande appassionato di calcio, a differenza di me - aveva lanciato la'allarme: "se fanno questa confusione durante i Mondiali diventeremo tutti scemi". Ora in redazione il costante e devastante ronzio della vuvuzela, quella assurda tromba monotono con cui i tifosi sudafricani cercano (riuscendoci, temo) di stordire i giocatori in campo, sta avendo sulla mia psiche effetti più devastanti del notiziario di Sky Tg24 in loop. Le modeste prestazioni di certe squadre nelle prime giornate (penso al povero Green che ha regalato il pareggio agli Usa o a una pietosa Grecia) mi fanno pensare che quella dei tifosi sudfafricani sia una strategia precisa per far vincere la loro nazionale. Se ci riusciranno mi immagino Hamas rinunciare ai fallimentari Qassam per far suonare migliaia di vuvuzele lungo il confine tra la Striscia di Gaza e Israele; i Talebani assediare Kandahar con quell'orribile mix di "rutto e ronzio" (la citazione è ancora da Alajmo) e i nordcoreani rispondere agli assordanti messaggi propagandistici provenienti dal Sud con una cacofonia di trombe di plastica certamente meno costose di una bomba atomica. Almeno fino a quando la vuvuzela non entrerà nella lista delle WMD, le armi di sterminio.

Un agghiacciante aggiornamento di lunedì 14: le vuvuzela non saranno vietate. Lo ha annunciato il portavoce del comitato organizzatore, Rich Mkhondo. Ieri il presidente del Comitato aveva minacciato di mettere al bando le famose trombette spacca timpani e oggi i produttori si sono convinti ad abbassarne la potenza a causa dell'eccessivo volume. "Le vuvuzuela non saranno vietate. Fanno parte della nostra cultura. Siete nostri ospiti, per questo abbracciate la nostra cultura e il nostro modo di festeggiare", ha detto il portavoce.

giovedì 10 giugno 2010

La terrazza Bellonci, lo Strega e il New Yorker

All'indomani della serata sulla terrazza di casa Bellonci per definire la cinquina dello Strega 2010, mi sembra all'uopo dare eco alla fantastica copertina di questa settimana del New Yorker

venerdì 4 giugno 2010

Guarda che radio!

Conosco Maurizio Molinari (non quello de La Stampa) da anni, da quando ha fatto uno stage all'Agi proprio da noi agli Esteri. Io l'avrei assunto senza perdere un attimo di tempo, ma il suo passaggio in agenzia non ha coinciso con uno dei momenti più floridi della storia dell'editoria italiana e la situazione all'Agi non fa eccezione. Ora i più volenterosi di noi sono impegnati in una disperata battaglia per fargli avere almeno un contratto di collaborazione da Bruxelles, dove si è trasferito da qualche tempo, ma anche per questa soluzione le condizioni non sono ideali. Questa è una delle ragioni per cui ho particolarmente a cuore il suo destino professionale: quando lavori con qualcuno che non è uno stronzo arrogante finisci comunque per affezionarti, a meno che al posto del cuore non hai una spugna e del cervello un sacchetto di segatura. Ma non è solo per questo. Maurizio è brillante, colto, simpatico, dotato di una ironia sottile e penetrante ed è anche il giornalista d'agenzia più veloce con cui io abbia mai lavorato. Se a questo aggiungete che parla tre o quattro lingue, beh...
Maurizio è anche non vedente. Ho detto 'anche', non 'però', perché per quella che è stata la mia esperienza con lui, la sua condizione non ha mai minimamente influito sulla sua professionalità. C'è stato, è vero, qualche problema quando hanno cambiato la macchinetta per il caffè e lui non aveva ancora memorizzato la posizione dei tasti, ma è il genere di cosa sulla quale credo si possa passare.
Eppure Maurizio è stato discriminato.
Perché francamente non so che altra definizione si possa dare a quello che gli è successo con Radio Max, emittente della civilissima Austria, talmente civile da non aver perso il vizio di avere un atteggiamento che potremmo definire poco costruttivo con le persone che hanno una qualche disabilità. Se Maurizio fosse stato sordo o muto, avrei capito la loro preoccupazione. Ma ricordo un giornalista radiofonico Rai che ha progressivamente perso la vista eppure ha continuato a lavorare, grazie a un tutto sommato modesto adattamento delle apparecchiature. La radio, se non mi sbaglio, è quello strumento con il quale - da qualunque parte si stia - non serve vedere, ma parlare e ascoltare.
Eppure Maurizio è stato discriminato.
Mi ha inoltrato la sua testimonianza che voglio condividere con voi:

Qualche settimana fa, era passato l'annuncio di una radio austriaca, Radio Max, che cercava conduttori di lingua italiana. Ho mandato il curriculum, non specificando che ero non vedente, e mi hanno chiamato per il casting. Il colloquio era stato fissato per martedì 8 giugno, io ho già
prenotato il biglietto per Vienna da Bruxelles. Loro ancora non mi facevano sapere né dove esattamente avrebbe avuto luogo il colloquio, né dove sarei stato in albergo. Io, saputo che ero stato selezionato per il colloquio, ho fatto loro presente il mio handicap, in caso fosse previsto qualche test scritto o comunque perché mi sembrava giusto che lo sapessero.
Ecco la mail di risposta, arrivata stasera (il 3 giugno, ndr) alle 23.15:

Oggetto: Siamo dispiaciuto

Mail:
Gentile Maurizio Molinari,
mi dispiace che la comunicazione tra di noi non sembra di funzionare bene, cioè, con gli altri invitati al colloquio non c´erano alcuni problemi con le mail, non so pero sembra che non ricevo tutte le mail. Ho dovuto aspettare delle voci dei miei responsabili. Visto che lei ci ha comunicato abbastanza tardi che è non vedente, perché avrebbe dovuto informarci magari quando ha fatto domanda, ci sono subentrati dei problemi, perché il nostro studio non è costruito per non vedenti. Qua ci potrebbero esserci dei problemi, dovevamo parlare con i tecnici, ma è semplicemente così che non abbiamo la possibilità per adattare lo studio perciò ci dispiace molto ma non la possiamo considerare per i colloqui, avrebbe dovuto dircelo quando ha fatto domanda, così potevamo evitare tutti questi in comprensivi. Le auguriamo buone cose per il suo lavoro.
Cordiali saluti


Sapete cosa mi piacerebbe? Che chi andasse a fare il colloquio lo sostenesse con una benda sugli occhi, tanto per dimostare a questa gente che si può fare radio anche senza essere costretti a guardarli in faccia.

sabato 29 maggio 2010

Tornare a Palermo

Leggo del nuovo libro di Giorgio Vasta: 'Spaesamento'. Me ne ha accennato qualcosa in un incontro casuale e frettoloso che abbiamo avuto a Palermo qualche mese fa. 'Il tempo materiale' mi è piaciuto molto e da tempo seguo Contromano di Laterza, grazie soptrattutto alle imperdibili uscite di Roberto Alajmo. Quindi questo 'Spaesamento', che esce proprio per la collana di Laterza, porta con sé una doppia garanzia. Ho trovato l'incipit in rete e mi sono stupito - non troppo per la verità - nello scoprire di condividere con Giorgio (oltre alla città di nascita, il quartiere dove siamo cresciuti, il Liceo e la sezione) lo stesso straniante sentimento ogni volta che usciamo dal finger nell'aerostazione di Punta Raisi. E che è mirabilmente descritto nelle poche righe che trovate qua: Spaesamento

giovedì 20 maggio 2010

Internet for peace... ma ne siamo sicuri?

Sono abbonato a Wired. Mi sono abbonato subito, non appena ho ricevuto a casa l'invito a farlo, perchè nel '94, quando stavo a NY, fu la prima rivista a parlarmi di Internet e dell'e-mail. Wired Italia e Wired Usa non sono la stessa cosa. Per fortuna. Vorrei avere più tempo per leggerla da cima a fondo perchè è davvero una buona rivista e meriterebbe ogni minuto del tempo che richiede. Solo che poi ha varato questa cosa, internet for peace, per candidare la rete al Nobel per la pace. Ora, premettendo che non l'avrei mai dato a Yasser Arafat per quello che ha fatto nè a Barack Obama per quello che potrebbe fare, stiamo pur sempre parlando del massimo riconoscimento su quanto di più aleatorio, controverso, fragile e utopistico ci sia sulla Terra. Eppure quelli di Wired sono convinti che la rete si meriti il premio.
Negli stessi giorni in cui lanciavano la loro campagna - che, diciamocelo, fa molto tech-glam - ho scritto di un rapporto del Centro Wiesenthal secondo cui su Twitter, Facebook e YouTube il numero degli attacchi a sfondo razziale o di matrice terroristica é aumentato del 20 per cento nell'ultimo anno. Il Rapporto sull'odio in digitale, che ha preso in esame 11.500 siti, ha rilevato che il linguaggio carico d'odio trova sempre più spazio sul web.
A questo voglio aggiungere una notazione molto più banale e dal valore statistico decisamente meno rilevante. Durante il mio ultimo viaggio in treno da Milano ho dovuto percorrere cinque carrozze per arrivare fino al bar. Ne ho approfittato per contare quante persone avessero il computer portatile accesso e per sbirciare per cosa lo stessero usando. Molti, moltissimi avevano un portatile ed erano connessi a Internet nonostante la precarietà del collegamento. Approssimativamente il 20% stava lavorando; il 50% guardava film (magari scaricati illegalmente) e il 30% stava su... Farmville.
Non metto in discussione il fatto che senza il Twitter gli studenti iraniani non avrebbero potuto dar voce alle loro proteste, né che senza ProPublica il giornalismo sarebbe più povero, ma se vogliamo dare il Nobel alla rete dobbiamo darlo prima all'inventore dell'aria condizionata per aver scongiurato innumerevoli omicidi scatenati dalla calura estiva; all'inventore della macchina per il caffè per aver evitato chissà quanti colpi di sonno in autostrada e a quello della lavapiatti per il sostegno dato al movimento per l'emancipazione della donna.
Diffido di un mondo in cui un groviglio di fibre ottiche e doppini ramati viene confuso con una filosofia di vita. La rete è solo uno strumento e nient'altro. E come ogni strumento non è buono o cattivo in sé, ma a seconda dell'uso che se ne fa. Oppure un Nobel per la pace non si nega a nessuno, nemmeno a Nadia Cartocci per aver trovato un papero solitario nella sua fattoria virtuale?

domenica 16 maggio 2010

Brutto risveglio, vero Luis?

Alla fine il bluff spagnolo è stato scoperto. Anche dagli stessi spagnoli. Vorrei sapere, adesso, che fine hanno fato quelli che negli anni d'oro dello zapaterismo tessevano le lodi sperticate di un Paese "giovane, vitale, allegro". Non si rendevano conto di confondere l'effetto di una sbornia con una vitalità reale e concreta. Ora che si sono svegliati con un forte mal di testa, gli spagnoli si sono accorti che forse anche l'oro di Zapatero era una patacca, visto che - stando a un sondaggio pubblicato da El Pais - i conservatori del Partito Popolare sono avanti di 9 punti e tre intervistati su quattro pensano che il piano di austerity varato dal governo non sarà sufficiente.
Sono uno ottimista scettico, perciò penso che alla fine anche gli spagnoli la sfangheranno e continuo a sperare che a noi italiani sarà risparmiato quello che stanno vivendo in Grecia e si preparano ad affrontare in Portogallo e in Irlanda. Solo che, da scettico, vorrei tracciare un parallelo tra quanti si sono fatti ingannare da una notte di movida e quanti sono abbacinati dal berlusconismo. Come sempre la giusta misura sta nel mezzo e finisce per avere torto sia chi grida in continuazione al complotto comunista che chi perde più tempo dietro ai matrimoni gay e all'equità dei generi nelle favole dei fratelli Grimm piuttosto che ai reali problemi del Paese.
Intanto quelli che se la passeranno peggio si sono rivelati più concreti e realisti dei caciaroni iberici. Se si votasse oggi in Grecia, il partito di governo prenderebbe il 45 per cento delle preferenze, appena un punto in meno di un mese fa, prima che la crisi di Atene esplodesse in tutta la sua drammaticità. I greci, cioè, rimetterebbero al governo quelle stesse persone che a un certo punto hanno accettato di fare i conti con la realtà e stringere la cinghia, anche a costo di pesantissimi sacrifici. Gli spagnoli invece che fanno? Appena qualcuno - seppure quel pataccaro di Zapatero - li sveglia lo mandano a quel Paese e corrono a votare per l'opposizione nella speranza che regali loro qualche altra ora di sogno. Tempo fa chiesi a una ragazza che ha vissuto a lungo in Spagna come fossero davvero gli spagnoli del post-franchismo. Li liquidò con due parole: "dei caciottari". Allora mi fece molto ridere, oggi più che altro mi amareggia.

sabato 24 aprile 2010

Nasce il premio letterario Scopello... fatevi sotto!

Pubblicato il bando del premio letterario “Scopello 2010”, indetto dall’amministrazione comunale di Castellammare del Golfo. Il concorso, curato dalla scrittrice Giuseppina Torregrossa, è articolato in tre sessioni: romanzo, articolo giornalistico e, per la prima volta in Italia, il concorso è aperto anche alla letteratura trasversale, cioè a quei testi che non possono essere collocati a pieno titolo nei generi letterari tradizionali, avendo caratteristiche miste (romanzo, reportage, saggio …). Il concorso riguarda testi pubblicati nel periodo che va dal mese di maggio 2009 al mese di marzo 2010, che abbiano come tema “Il ritorno”. La commissione esaminatrice, che assegnerà tre premi di mille euro per il primo classificato in ogni sessione, è composta dal giornalista Andrea Purgatori, del Corriere della Sera , Ivan Lo Bello, presidente di Confindustria Sicilia, dai magistrati Giovanni Tulumello e Alfonso Sabella, dalle giornaliste Myrta Merlino e Roberta Zunini, dall’imprenditrice Francesca Planeta e dalla studentessa Ornella Randazzo. Le pubblicazioni, accompagnate da una scheda tecnica con i dati, le generalità, una breve presentazione dell'autore e l'indicazione della sessione, vanno inviate in 6 copie entro il 15 giugno, all’Ufficio Cultura del Comune di Castellammare del Golfo (piazza Castello- tel./fax 0924.30217 - email: ufficioturismo@castellammaredelgolfo.org). Il bando è pubblicato anche sul sito del Comune, all’indirizzo www.castellammaredelgolfo.org.

giovedì 15 aprile 2010

L'anteprima di To report in streaming

Non è ancora il D-day, ma ci siamo quasi: domani To report sarà presentato in anteprima in occasione di un workshop sulla professione di freelance in occasione il ventennale della scuola di giornalismo di Urbino. Per chi non potrà esserci, ma non vuole perderselo, l'appuntamento è venerdì 16 dalle 18 sul sito di To report per la diretta in streaming.

mercoledì 14 aprile 2010

Candidati allo Strega Sorrentino e la Avallone

Intanto la notizia, per i commenti a dopo...

(AGI) - Benevento, 14 apr. - Finalmente noti i dodici libri finalisti della 64esima edizione del Premio Strega. In gara "Acciaio" (Rizzoli) di Silvia Avallone, presentato da Giuseppe Conte e Giorgio Ficara; "La casa" (Elliot) di Angela Bubba presentato da Fulvio Abbate e Paolo Giordano; "Non ti voglio vicino" (Frassinelli) di Barbara Garlaschelli, presentato da Maria Rosa Cutrufelli e Giuseppe Leonelli; "Bambini nel bosco" (Fanucci) di Beatrice Masini, presentato da Roberto Barbolini e Romano Montroni; "Tutta mio padre" (Bompiani) di Rosa Matteucci, presentato da Piero Gelli e Antonio Tabucchi; "Un anno fa domani" (Instar Libri) di Sebastiano Mondadori, presentato da Ernesto Ferrero e Lidia Ravera; "Strane cose, domani" (Baldini Castoldi Dalai) di Raul Montanari presentato da Luca Doninelli e Tiziano Scarpa; "Sono comuni le cose degli amici" (Ponte alle Grazie) di Matteo Nucci, presentato da Renato Minore e Walter Pedulla'; "Accanto alla tigre" (Fandango) di Lorenzo Pavolini, presentato da Diego De Silva e Valeria Parrella; "Canale Mussolini" (Mondadori) di Antonio Pennacchi, presentato da Niccolo' Ammaniti e Massimo Onofri; "Prenditi cura di me" (Sellerio) di Francesco Recami, presentato da Concita De Gregorio e Salvatore S. Nigro; "Hanno tutti ragione" (Feltrinelli) di Paolo Sorrentino, presentato da Angelo Guglielmi e Dacia Maraini. "Anche in questa edizione la qualita' dei libri in finale possono avere gradi potenzialta'- sottolinea Stefano Petrocchi, coordinatore della Fondazione Bellonci - la politica editoriale italiana sta puntando molto sugli esordienti e in questa edizione dello Strega come d'altronde abbiamo fatto con le altre abbiamo fatto altrettanto. Inotre faremo conoscere anche in Canada il premio e per questo il 23 aprile saro' a Montreal per siglare un importante accordo con le associazioni culturali canadesi per diffondere al meglio l'evento". Per il terzo anno consecutivo, Benevento ha aperto il Premio Strega segno di un rapporto intenso e stabile con la citta'. "Il 18 giugno - dice Raffaele del Vecchio, assessore alla Cultura al Comune di Benevento - verra' presentato anche a Vienna nell'ambito delle associazioni culturali di quella citta', cosi' come avvenne lo scorso anno a Berlino; ci sara' inoltre una sinergia tra Premio Strega e Citta' Spettacolo Benevento. In occasione della 21esima edizione del Festival, verra' introdotta una "finestra letteraria" in collaborazione con la Fondazione Bellonci". Soddisfatto anche il Sindaco di Benevento Fausto Pepe che si dice " orgoglioso di ospitare nella citta' di Benevento una delle manifestazioni letterarie piu' importanti d'Italia".

lunedì 29 marzo 2010

Un 'motoore' immobile

Avevo dimenticato di aver lasciato in sospeso quella faccenda del motore. Oggi forse dovrei scrivere di elezioni, ma chi segue questo blog sa che non amo essere così aderente alla quotidianità. Del resto il bello di un blog è poter scrivere quello che passa per la testa seguendo più i propri pensieri che il mainstream delle notizie del giorno. La 'faccenda del motore' la trovate accennata qua, ma dato che una promessa è una promessa, è giusto sviscerarla.
Tocca parlare ancora una volta dell'assolutismo dello slang palermitano che si manifesta in due modi: la pretesa che tutti sull'orbe terracqueo lo comprendano e la convinzione che in una sola parola si possa includere una mezza dozzina di significati, anche se farebbero orrore al più scamuffo dei dizionari.
E qui si arriva al motore. Che, per essere compreso appieno, deve essere pronunciato motoore, come se sulla o ci fosse uno di quegli astrusi segnetti fonetici che costringono ad allargare la vocale spalancando un po' la bocca come in preda a profondo stupore (potete pronunciare stupoore, se volete).
Il motoore è da Bolzano a Cefalù una "macchina motrice che ha la proprietà di fornire in uscita un lavoro meccanico utile". Generalmente ha da uno a 'n' pistoni e se non ha ruote, eliche o qualcosa di simile non porta da nessuna parte. Tranne che a Palermo, dove il motoore sfreccia nelle sue cilindrate più varie in ogni strada, vicolo o pirtuso perché di ruote ne ha due.
Anch'io avevo un motoore. Anzi, ne avevo tre. Un Garelli del 1978, una Vespa 125 (bummiata 200) del 1980 e una Yamaha del 1998. Erano tutti diversi, ma erano tutto motoori. Lo era il Garelli (che secondo il codice della strada è un ciclomotore); lo era il Vespone (che è uno scooter) e la Yamaha (che è una motocicletta). Il bello è che la mia Yamaha non era neppure una motocicletta, ma uno Why, una specie di scooter magro che non era affatto male. Però quando mi si chiedeva "che motore hai?" io rispondevo vago "una Yamaha" perché in cuor mio avevo sempre desiderato una XT 600 R e per 500mila lire avevo dovuto ripiegare sul Vespone.
Quello che accadeva, in realtà, era che il lessico panormita veniva in soccorso delle mie ambizioni frustrate: con quella parola così vaga - motoore - riuscivo a far passare un trispito per una discreta bestia da 42 cavalli. Ammucciando la munnizza con scenografie di cartone, come solo i palermitani sanno fare.

sabato 20 marzo 2010

Rappresaglia in salsa siculo-comasca

Accade che un imprenditore palermitano si compri un'azienda a Como. Accade che un giorno decida che a Termini Imerese oggi hanno più bisogno di lavorare che a Como e che metta in scena la sua personale rappresaglia contro la Fiat sbaraccando i macchinari sulle sponde del Lago per trasferirli duemila chilometri più a sud, sulle rive del Mediterraneo.
"Non c'entra niente" mi ha assicurato con l'accento palermitano che sfoggia con orgoglio quando parla con chiunque, che sia io o un committente di Bolzano,"ma quale rappresaglia!". Ma non gli ho creduto, perché ho visto qualcosa balenare nel suo sguardo mentre mi raccontava della faccia che avevano fatto i dipendenti comaschi quando gli aveva annunciato le opzioni: perdere il lavoro o trasferirsi in Sicilia. "Non ce n'è stato uno che ha anche solo preso in considerazione la possibilità di andare a vivere a Termini Imerese" ha detto con un sorriso. Già qualche anno fa, al momento di rilevare l'azienda, gli aveva tirato un bello scherzo. "Sono tutti leghisti" mi aveva raccontato, "di quelli veri, che vanno a Pontida e a quella pagliacciata dell'ampolla con l'acqua del Po. E io sai che ho fatto? Mi sono portato dietro il mio caposquadra di fiducia, così a un padrone terrone ho aggiunto un capo rumeno".
Solo che, ha detto senza l'ombra di un sorriso, quelli a Como un altro lavoro lo trovano in fretta, mentre cosa faranno quelli di Termini Imerese quando la Fiat avrà levato le tende?

venerdì 19 febbraio 2010

Carne da tipografia

La guerra per lo Strega è cominciata. Già da un po', per la verità, ma bisogna dire che pochi giorni fa è stato sferrato un colpo veramente clamoroso, di quelli che possono modificare le sorti del conflitto. Prima di tutto, però, occorre parlare di quali sono le forze schierate in campo. Avevo detto in tempi non sospetti che Silvia Avallone sarebbe stata la rivelazione letteraria della primavera prossima ventura e che senza dubbio Rizzoli avrebbe puntato su di lei per copiare l'effetto Giordano da Mondadori e abbassare ulteriormente il record di giovinezza sul palco della serata della finale. Non avevo fatto i conti - perchè ancora non la conoscevo - con la contromossa di Mondadori che ha investito in modo massiccio su Alessandro D'Avenia. Non ho ancora letto il suo 'Bianca come il latte, rossa come il sangue', ma a giudicare da quello che si legge in giro, Segrate sta tentando un azzardo degno di Las Vegas: sdoganare nel ninfeo di Villa Giulia una versione intellettuale di Moccia. Se il libro è buono - e non posso ancora giudicare - nulla di male: cosa sono 'La lunga vita di Marianna Ucria' e 'Non ti muovere' se non coinvolgenti melò? Sdoganati quelli non si vede perché non debba avere accesso alla notte dello Strega anche la narrativa adolescenziale, nel senso che racconta gli adolescenti, ma non è scritta da adolescenti, letta solo da loro.
Su questo, un giorno, dovrò aprire una discussione, perché durante un incontro con gli studenti del Liceo Umberto di Palermo una ragazza ha sbottato: "siamo stufi di quarantenni che raccontano gli adolescenti, ma non vogliamo neppure sembrare gli idioti di un libro come 'Tvukb'". In realtà la Avallone non ha neppure 25 anni e lo stesso Giordano quando scriveva di Mattia e Alice era più giovane di lei. Ma quelle che hanno raccontato loro sono storie sugli adolescenti piuttosto che per gli adolescenti e per giunta ambientati in epoche e ambienti che più lontani da Moccia dai fighetti del triangolo Vigna Clara - Collina Fleming - Parioli non potrebbero essere. Ma questa è un'altra storia: quello che mi fa riflettere è lo sbarco massiccio di romanzi legati a una certa tematica in libreria, nelle classifiche e nel sancta sanctorum dal quale bisogna passare per essere riconosciti come letteratura italiana: lo Strega. L'impressione che ho è che, vinta da Mondadori - e a mani basse - la partita di Giordano, altri cerchino di seguire quel solco, stando attenti a non precipitare nella banalità di fenomeni stagionali come l'innamoramento per il thriller scandinavo.
Intorno alla Avallone e a D'Avenia, cioè, si sta creando un fenomeno che ha poco di naturale: tentare di affermare un primato assoluto di una casa editrice o di un'altra nel trovare (o creare) un esordiente di talento che sia impareggiabile nel tratteggiare il mondo incomprensibile e sconosciuto degli adolescenti. Solo che non è semplice talent-scouting. E' una guerra. Tanto che una decina di giorni fa - per l'appunto - Rizzoli ha visto la Avallone scavalcata in classifica da D'Avenia e contemporaneamente è partita una bordata di quelle capaci di affondare una corazzata. Sul Corriere è comparso un articolo che sputtana lo scrittore palermitano come un volgare approfittatore di una storia umana reale e profondamente drammatica. Conosco bene l'autrice di quell'articolo e so per certo che non c'è dietro una precisa manovra di politica editoriale: non è il tipo che si metterebbe a sparare su D'Avenia solo perchè potrebbe fare piacere alla Rcs. Ma è senza dubbio il prodotto di un clima che si fa sempre più incandescente anche a grande distanza dalla notte dello Strega. Mondadori non ha ancora annunciato la candidatura di D'Avenia, ma tutto sommato in un premio in cui è alta la partecipazione delle scuole e con un libro che si è saldamente piazzato in classifica non vedo perché non dovrebbe farlo. Il vero interrogativo è un altro: lo farà perché crede nell'autore, perchè ha investito sul libro o per fare un altro sgambetto alla Rizzoli e alla Avallone lanciata a tutta birra verso il Ninfeo? Quale che sarà l'esito di questa guerra, voglio vedere come si comporteranno gli editori con i prossimi lavori della Avallone e di D'Avenia. Perché romanzi che piacciono così tanto non possono non avere un seguito sostenuto con altrettanta energia dalle case editrici, a meno che la trasformazione della letteratura (o dovremmo dire narrativa?) in bene di consumo non sia già completa e compiuta e il 'libro evento' non sia destinato a prendere definitivamente il posto del talento. Che sia finita, cioè, l'epoca in cui gli editori cullavano e crescevano i loro autori per condurli dall'esordio alla maturità e sia sorta l'alba su un'era di debutti fulminanti in cui, alla lunga, a restare fulminati sono solo autori di talento dal cui letto l'editore esce di soppiatto non appena diventano troppo vecchi per essere ancora degli enfant prodige.

martedì 16 febbraio 2010

Cosa mi tocca scrivere...


STUDIO GB, AL SUD ITALIA ARRETRATI PERCHE' MENO INTELLIGENTI

(AGI) - Roma, 16 feb. - Il sud Italia e' meno sviluppato del nord perche' i meridionali sono meno intelligenti dei settentrionali. Anzi, mentre nel nord Italia il quoziente intellettivo e' pari a quello di altri Paesi dell'Europa centrale e settentrionale, piu' si va verso sud, piu' il coefficiente si abbassa. La causa e' "con ogni probabilita'" da attribuire "alla mescolanza genetica con popolazioni del Medio Oriente e del Nord Africa". Osservazioni che non sfigurerebbero in un pamphlet razzista, ma che invece compaiono sull'ultimo numero della rivista scientifica 'Intelligence' che pubblica una ricerca di Richard Lynn, docente emerito di psicologia all'universita' dell'Ulster a Coleraine. Lynn liquida secoli di studi sulla questione meridionale teorizzando che al pari della statura, dell'istruzione e del reddito, da nord a sud l'intelligenza media della popolazione scenda fino a toccare il punto piu' basso in Sicilia. I piu' intelligenti d'Italia, secondo Lynn, sono concentrati in Friuli. Lynn non e' nuovo a teorie discutibili: negli anni '70 sostenne che gli abitanti dell'Estremo oriente fossero piu' intelligenti dei bianchi e nel 1994 nel libro 'La curva a campana' teorizzo' che nella popolazione di colore, una pigmentazione piu' chiara corrisponde a un quoziente intellettivo piu' alto, derivato proprio dal mix con i geni caucasici. Nello studio pubblicato da 'Intelligence', afferma che "il grosso della differenza nello sviluppo economico tra nord e sud puo' essere spiegato con la variabilita' dell'IQ" e che, in sintesi, nel sud Italia la qualita' del cibo e' piu' scadente, si studia meno, ci si prende meno cura dei figli e che almeno dal 1400 il Meridione non partorisce "figure di spicco" nelle arti e nella politica. (AGI) Uba

martedì 9 febbraio 2010

Cosa pago?

Anni fa (un milione di anni fa) durante una delle mie prime sortite romane, poiché rischiavo di saltare una fermata d'autobus urlai a squarciagola al conducente: "BUSSOLA!". A Palermo qualunque buon autista si sarebbe fermato e avrebbe aperto le porte per lasciarmi scendere. A Roma, invece, fu come se avessi urlato un parola priva di senso, tipo "rigorifero" o "bicicletta" e l'autiere (contrazione capitolina della parola autoferrotramviere) tirò dritto. A prescindere dal fatto che sul dizionario il termine bussola indica anche le porte dell'autobus, da allora mi sono trovato spesso a riflettere sull'autoreferenzialità dello slang siciliano. Non sul siciliano, che in qualche modo è una lingua a sé, ma sull'italiano dei siciliani e dei palermitani in particolare. Soprattutto su alcuni costrutti ostentati nelle occasioni più varie. Se, ad esempio un palermitano va al bar, al momento di pagare dice al cassiere "cosa pago?". Il che è assolutamente privo di senso, perché chi meglio del cliente può sapere cosa ha consumato? Mi è stato spiegato da chi è più palermitano di me che si tratta di una forma linguistica di tutela che si può comprendere solo osservando la mimica che segue la frase in oggetto. Dopo che il cliente ha chiesto "cosa paga", il cassiere alza un sopracciglio verso il banconista che ad alta voce fa il dettaglio della consumazione: "un cappuccino, due caffè e una ines con la ricotta" (ines è la storpiatura - altra prerogativa panormita - della parola iris con cui si indica una specie di krapfen alla ricotta) di modo che il cliente dimenticando, ad esempio, uno dei caffè non abbia a fare la figura di quello che ci sta provando. In alternativa la formula può essere "se lo paga questo caffè?" la cui origine, francamente mi è oscura.
Nonostante i palermitani siano profondamente convinti del'universalità del loro idioma, queste due esotiche formulazioni non valgono a tutte le latitudini. Così questa mattina, quando mi sono trovato a fare colazione a uno dei bar dell'aeroporto di Fiumicino per smaltire almeno parte dell'incazzatura per la partenza in ritardo del volo 921 ho assistito al seguente scambio di battute tra un Palermitano Cosmopolita (PC) e un Barista Scoglionato (BS):
PC: Cosa pago?
BS: E che ne so? Che hai magnato?
PC (spiazzato): Allora se le paga due cioccolatte (con due t) e tre cornetti?
BS: Me le pago? Ma le pagherai te!
Il PC, ancora più spiazzato e forse un po' infastidito dall'insolenza del banconista, ha saldato il suo debito mentre io sghignazzavo e mi sintonizzavo tempestivamente su un'altra conversazione panormita: quella tra una turista mordi e fuggi e un studentessa fuorisede. Quest'ultima cercava di spiegare alla turista perchè a Roma "si può girare solo in motore". Sulla differenza tra motore, ciclomotore e motocicletta ci soffermeremo in futuro.

lunedì 25 gennaio 2010

Notizie per le quali vale la pena fare questo mestiere


HAITI: BIMBO INGLESE DI 7 ANNI IN BICI RACCOGLIE 100MILA STERLINE

(AGI) - Roma, 25 gen. - Un bambino inglese di sette anni e' riuscito da solo a fare di piu' per Haiti di molte Ong britanniche messe insieme. Charlie Simpson ha utilizzato la piattaforma web 'JustGiving' per organizzare una raccolta fondi per i terremotati. Il suo obiettivo era mettere insieme 500 sterline e per riuscirci si era lanciato in quella che per lui era una vera impresa: "almeno dieci giri" di South Park, nel quartiere londinese di Fulham. "Sponsorizzatemi" aveva scritto nella letterina pubblicata sul sito e in tantissimi hanno raccolto il suo appello, tanto che in pochi giorni ha messo insieme piu' di 105mila sterline. Sul blog che accompagna la raccolta fondi si susseguono le donazioni e i commenti entusiastici per l'impresa di questo piccolo rosso di capelli e ricco di intraprendenza. E' stato lui, hanno raccontato i genitori, ad avere l'idea. Le immagini della devastazione di Haiti trasmesse in tv lo avevano sconvolto e aveva deciso di fare qualcosa. "Voglio raccogliere soldi per comprare cibo, acqua e tende" ha scritto sul sito, "faro' il maggior numero di giri in bicicletta intorno al parco (spero di riuscire a farne almeno 10!), per favore sponsorizzatemi e tutto il vostro denaro andra' all'Unicef". Il fondo Onu per l'infanzia ha definito quella di Charlie "un'iniziativa esemplare" e persino Downing Street ha reso omaggio alla generosita' del bambino dicendosi "sbalordita" dal successo della sua iniziativa. (AGI)

Chi volesse donare può farlo qui

sabato 23 gennaio 2010

Giovani, carini e scrittori

Silvia Avallone ancora non lo sa, ma il suo libro sarà il caso editoriale della prossima primavera. Forse qualcuno in Rizzoli glielo ha detto, magari quella sera stessa che un editor l'ha chiamata per dirle che il suo libro era piaciuto tantissimo e che doveva correre a Milano per firmare il contratto. Io il suo 'Acciaio' non l'ho letto, ma mi riprometto di farlo non appena avrò finito 'L'isola di Arturo' e 'Accabadora'. A essere il lista dopo la Morante e la Murgia, un'esordiente ci può pure stare, ma va da sé che Silvia la sua battaglia l'ha già vinta, a prescindere del posto che occuperà sul mio comodino. Perché se mi metterò su questo tomo di più di 300 pagine che parla di un'acciaieria di Piombino e della dura vita di due adolescenti, vuol dire che qualcosa mi ha convinto. Forse quel fenomeno nuovo nato con Paolo Giordano e al quale qualcuno, presto o tardi, finirà per appioppare un'etichetta. Magari 'Giovani, carini e scrittori'.
Silvia vive un sogno. Perché scrivere il primo romanzo ed essere chiamati dalla Rizzoli per pubblicarlo, finire sul divano della Dandini (detto così suona male, ma è una metafora giornalistica, dài!) e su Tuttolibri de La Stampa tutto nella settimana di uscita e a soli 25 anni... beh, se non è un sogno questo! O almeno è il sogno di chiunque abbia dedicato tempo, energia, risorse a un romanzo e poi lo lanci nel vuoto siderale delle case editrici nella speranza che il suo debole segnale venga captato da intelligenze superiori.
Per la verità sulle intelligenze superiori alla Rizzoli - dopo che hanno fatto uscire un romanzo che ha lo stesso titolo del mio 'Il Corruttore' e lo stesso lettering di copertina - avrei ragione di nutrire qualche dubbio, ma ho la convinzione che con 'Acciaio' possano averci visto giusto. Non per merito loro, per carità, ma perché qualche giorno prima della comparsata a 'Parla con me' e prima ancora del pezzo di Tuttolibri, la mia amica Alba Donati mi ha mandato un messaggio su Facebook intimandomi di leggere 'Acciaio' "perché è bellissimo".
Era successo anche con 'La solitudine dei numeri primi': chi l'aveva letto mi diceva che era bellissimo. Ma a colpirmi era soprattutto il fatto che con un libro fosse nata una stella pop. C'avevano già provato con Melissa P., ma lì era chiaro che il mix "ragazzina carina-perversa/romanzo di formazione" era taroccato come un dvd a via Sannio ed era passato poco prima che fosse additato come un bluff editoriale. Invece con Giordano è venuta fuori davvero una stella del pop. Ho visto con i miei occhi - in una casa editrice che non è la Mondadori - una sua foto appesa allo schermo del pc di una giovane addetta stampa. Se in Italia la lettura fosse un fenomeno di massa, Giordano sarebbe idolatrato come Zac Efron. E perché non dovrebbe esserlo? E' giovane, è carino ed è uno scrittore di talento. Tutte caratteristiche che ha anche Silvia Avallone: giovane, carina e - credo sulla parola alla Dandini e a Giovanni Tesio - di talento.
Nella sfera di cristallo posso vedere Virzì che trasforma 'Acciaio' in un film di successo (lo ha già fatto con la Murgia da cui ha tratto 'Tutta la vita davanti') e la Rizzoli che carica la Avallone sul carro dello Strega e punta al riscatto dopo troppi anni di fame e silenzio.
Ma soprattutto Giordano e la Avallone hanno sfatato un mito: che per essere scrittori sia necessario essere bruttarelli, con un incarnato tendente alla bile; abbigliati come degli sciamannati e nel complesso parecchio sfigati. E' grazie a loro se presto o tardi sessere scrittori di successo sarà fico quanto essere un attore o un cantante di successo. Sara' grazie a loro se un giorno saranno di più i venticinquenni che ambiscono a presentare il proprio libro sul divano della Dandini di quelli che sognano di entrare nella casa del Grande Fratello. Purchè, prima di mettersi a scrivere, siano disposti a leggere e parecchio!

venerdì 22 gennaio 2010

Sempre perchè "è uno sporco lavoro"...

NASA: COCAINA IN HANGAR SHUTTLE, TEST ANTIDROGA PER TUTTI
(AGI) - Houston, 22 gen. - C'e' chi in orbita ci va con la cocaina. Al Kennedy Space Center della Nasa in Florida, nell'hangar dello shuttle Discovery, che sara' lanciato nello spazio il prossimo marzo, e' stato trovato un sacchetto pieno di "polvere bianca". Poiche' all'area hanno accesso solo 200 dipendenti questi saranno tutti sottoposti al test anti-droga.

sabato 16 gennaio 2010

L'uomo che non meritava l'oud

Io non so suonare. Non ho mai suonato. Ho provato qualche lezione di chitarra, ma da ventisette anni sta in un angolo di quello che ora è lo studio di casa dei miei a prendere polvere. Mio figlio qualche tempo fa l’ha presa in mano con una smorfia e ha provato un accordo. Alla terza nota il mi cantino è partito come una fionda e gli ha scombinato il ciuffo da rocchettaro che sfoggia già a dieci anni.
No, suonare non fa per me. Ascolto musica praticamente ventiquattr’ore su ventiquattro, ma di suonarne non se ne parla. Eppure sono affascinato dagli strumenti. Da Feltrinelli – che un tempo vendeva solo libri, ma dove ora mancano solo ortaggi e buste di latte – mi fermo a guardare chitarre, batterie elettrice, flauti, violini e trombe low-cost per chi, come vorrei tanto fare io, volesse cimentarsi senza fare un mutuo per comprare un oggetto destinato con ogni probabilità a marcire nell’angolo dello studio. Mi affascinano la tensione delle corde, la precisione dei pistoni, l’ottone delle chiavi, la lucentezza delle casse armoniche.
Se mi capita di ascoltare uno strumento che non conosco mi piace saperne di più, scoprirne la storia. Da qualche tempo mi sono appassionato all’oud. E’ successo a Beirut, dove ogni angolo di strada è pieno di questo suono remoto eppure familiare, che solletica subito ricordi da Mille e una Notte e finisce per sprofondare in un’atmosfera così lasciva che a rigor di logica dovrebbe mandare ai matti i fondamentalisti islamici.
E’ uno strumento fantastico da ascoltare e bellissimo da guardare; una specie di chitarrone bombato con undici corde disposte fitte come quelle di un’arpa. Una di quelle cose che, se avessi un minimo di confidenza con gli strumenti a corda (e non solo), mi piacerebbe saper suonare.
O almeno possedere.
Per questo quando al mercato di Istanbul ne ho visto uno bellissimo, addirittura amplificato, ho subito pensato che doveva essere mio. L’ho preso e soppesato, l’ho imbracciato – male, come si imbraccia una Fender, suscitando l’ilarità del padrone della bottega che mi ha mostrato la postura corretta, alto fin quasi a toccare il mento, la testa china come a riflettere profondamente sul suono che se ne ricava. Il mercante, un turco tracagnotto e baffutissimo di quelli che si trovano solo nelle vignette, ha pizzicato un po’ le corde e quel suono mi ha subito riportato ai giorni di Beirut.
“Quanto?” ho chiesto. “Centocinquanta euro” ha sparato. Non bisogna necessariamente vivere al di sotto di Napoli per sapere che il mercato di Istanbul è il luogo della contrattazione per antonomasia, così mi sono messo a tirare sul prezzo, fino a raggiungere quota 50 euro. Magari era una sòla lo stesso, ma era comunque un bell’oggetto e mi sarebbe piaciuto averlo in casa. Ho cercato il portafogli, ma non l’avevo: era affidato allo zainetto blindato che mia moglie teneva saggiamente stretto a sé. Sono andato da lei e le ho detto di darmelo. E le ho spiegato perché mi serviva .
Da dov’era – una bottega di scarpe fatte a mano a poca distanza – ha guardato il mio oud e poi me. “Dove lo mettiamo?” ha chiesto con il suo consueto, spiazzante spirito pratico.
“Un posto glielo troviamo” ho detto stringendomi nelle spalle. “Sì, ma dove?”. Ho sparato un posto a caso. “C’è già il pugnale che hai portato dall’Arabia Saudia” ha risposto. Ne ho buttato là un altro. “Ci sta la scacchiera del mahjong che hai preso a Pechino”. Ho fatto un elenco di posti, ma erano tutti occupati dagli oggetti più o meno bizzarri che riporto dalle mie trasferte. “Ma hai visto quanto è grosso?” ha protestato mia moglie. L’ho guardato ed effettivamente anche attaccandolo a muro sarebbe stato come piazzare una zucca gigante su una parete. Istintivamente abbiamo guardato mio figlio, il chitarrista. “Toglietevelo dalla testa” ha detto, “suono già l’acustica, l’elettrica e la classica e a imparare a suonare quell’affare non ci penso neppure”. Sono andato dal mercante e con un’espressione afflitta ho cercato di spiegargli che ero costretto a rinunciare.
Abbiamo continuato la passeggiata, ma avevo sempre il pensiero all’oud. E’ vero, non avremmo avuto dove piazzarlo, ma…
Mi sono fermato e i miei mi hanno guardato con curiosità. “Io vado a comprarlo lo stesso” ho annunciato, “quello è il mio oud”. Mia moglie ha sorriso come fa quando vuole farmi capire che tanto sapeva che sarebbe andata così . “Va’, allora, sbrigati”.
Sono tornato dal mercante con i miei cinquanta euro. “Lo prendo” gli ho detto con un sorriso. Ma lui è rimasto serio. “Non te lo vendo più” ha detto. “è venuta mia moglie e mi ha detto che il prezzo che ti facevo era troppo basso. E siccome in casa mia funziona come in casa tua, devo fare quello che dice lei”. Sono rimasto interdetto. Mi stava prendendo per il culo! Stava facendo dell’ironia turca! “Non sono andato a chiedere il permesso a mia moglie” ho protestato, “abbiamo solo discusso di dove avremmo messo quell’affare”. Lui si è liberato del problema con una scrollata di spalle. “Tanto non te lo vendo” ha ripetuto, “non a uno che prende ordini dalla moglie. Va’ a comprarle le scarpe fatte a mano”.
Non potevo crederci. “E domani lo venderò per quaranta euro al primo che me lo chiederà” ha detto quando gli ho voltato le spalle con indignazione.
Vedendomi arrivare senza lo strumento i miei sono rimasti stupiti. E ancora di più quando gli ho raccontato com’era andata. Poi mia moglie è scoppiata a ridere e mio figlio è stato l’unico a sospirare di sollievo: gli sarebbero stati risparmiati gli sguardi accusatori perché si ostinava a non voler imparare a suonare l’oud.