Due Madri - il booktrailer - in libreria dal 14 aprile

martedì 30 giugno 2009

Più lealisti del Cavaliere

Che in Rai non si brilli per coraggio è noto. Ma quello che è successo a un'amica è sintomatico del clima che si respira e fanno respirare quei dirigenti che, più lealisti del re - ma bisognerebbe dire del Cavaliere - prevengono ogni guaio con una censura che se non fosse grottesca sarebbe drammatica.
La mia amica è ospite di una importante trasmissione del mattino per parlare del suo romanzo ispirato a una delle tante vicende che costellarono la complicata vita di Alexandre Dumas. Si è in piena bufera-Noemi. Il suo intervento deve essere all'interno di una rubrica sul gossip e lei dovrebbe sostenere che il gossip è sempre esistito, anche nell'800. Secondo gli accordi deve parlare dello scrittore Dumas e della sua passione per le donne, nonché della sua ultima amante, Adah Menken: una diva, una specie di Madonna del suo tempo. I due erano molto chiacchierati perché erano famosissimi e quando si conobbero lui aveva 65 anni e lei 32 (quindi, nota bene, grande differenza di età). A lei piaceva farsi fotografare discinta, anche nuda, e lui era un donnaiolo tremendo: ebbe 27 amanti note (quindi forse anche di più) e 6 figli, di cui solo 2 riconosciuti. Ha anche mandato delle foto di loro due da far vedere nel corso del programma; immagini che un'autrice ha giudicato "deliziose".
Ebbene, appena arrivata trova all'ingresso l'autore capo: "Tu sai che stiamo attraversando un momento molto delicato" le dice "quindi stai molto attenta a come parli. Non devi nominare assolutamente le amanti giovani di Dumas. Non possiamo neanche far vedere le foto, io le ho viste e mi hanno molto disturbato". Sono delle foto dell'800, chi potrebbe trovarle disturbanti dopo aver visto Topolanek a Villa Certosa? "Cerca di usare con parsimonia il termine 'Re', perché non vorrei mai che si pensasse... a un altro re" conclude l'autore. E qui ogni commento sfuma sul nero...

domenica 28 giugno 2009

La cena dei tapini

In questi giorni c’e’ stato un timido scambio di sms. I tapini si interrogano su cosa fare la sera del 2 luglio. Chi sono i tapini? Sono – anzi siamo – le vittime della terrazza di Casa Bellonci: quelli che hanno avuto il privilegio di varcare la soglia della più letteraria delle dimore romane, ma non avranno l’onore di essere celebrati nella lunga notte del Ninfeo di Villa Giulia. Andare o non andare? Io sono per non andare, anche per un semplice motivo: nessuno ci ha invitati. E del resto credo che sarebbe di cattivo gusto presentarsi in mezzo ai tesissimi finalisti che ormai avranno esaurito le esili scorte di sorrisi di circostanza e avranno ceduto alla ostilità aperta.
Con le previsioni sulla cinquina ci avevo quasi preso. Mi ero meravigliato (con piacere) dell’ingresso di Lugli addirittura al secondo posto, ma chi ha più esperienza di me mi ha spiegato alcuni reconditi meccanismi. Come il fatto che non c’è volta che Newton Compton – editore de L’istinto del lupo -non entri in cinquina. Questo perché può contare su un gruppo di anime morte (così mi sono state descritte) pronte a votare qualunque cosa la famiglia decida di mettere in pista. Così accade che gli autori Newton Compton entrino trionfalmente in cinquina con la buona dote di una quarantina di voti e ne escano ingloriosamente nella serata del Ninfeo. Francamente spero in un capovolgimento delle sorti a favore di Massimo, non perché il suo libro sia più meritorio di altri (non l’ho ancora letto: dei miei ex-compagni di ventura ho cominciato finora solo Il tempo materiale di Vasta) ma perché significherebbe che finalmente un genere riesce a sfondare il muro della Strega e a imporsi.
Sono convinto che tra i titoli usciti vincitori nelle ultime dieci edizioni si possa trovare un filo comune che passa per la storia di sentimenti, il lieto fine, la rassicurazione, l’introspezione e la pippa mentale allo stato puro. E’ chiaro quindi che – ad esempio – una storia aspra come quella raccontata da Vasta non aveva altra speranza che di sfiorare la cinquina. Ma ci tengo a sottolineare che, per quello che ho letto finora, era uno dei pochi a meritarsi davvero la finalissima. Non posso dire se se lo meritasse Antonio Scurati perché dopo essermi preso una delle sòle più grandi della mia vita di lettore con Il rumore sordo della battaglia (lanciato fuori dalla finestra a pagina 30) l’ho bandito dai miei scaffali. Né se lo meritasse Scarpa, perché quando l’ho sfogliato in libreria non ha superato il test delle prime 20 righe. Né quello delle prime 30 né delle prime 50 (ma deve essere un problema mio perché Stabat Mater si è conquistato il voto degli studenti e quello della Dante Alighieri). Se lo meritava senza dubbio Andrea Vitali, non tanto per questo Almeno il cappello, ma per aver divertito almeno una milionata di lettori e avermi conquistato in tempi non sospetti con Il procuratore. Sulla Vighy, non so/non rispondo.
Cosa succederà il 2 luglio? Vincerà Scarpa, almeno a studiare come un Risiko i movimenti dei grandi elettori che come armate si spostano da un titolo all’altro a seconda delle indicazioni delle case editrici. Scarpa può contare sull’appoggio di Mondadori che quest’anno fa finta di non partecipare ma in realtà ha messo in campo sia un titolo della consociata Einaudi (Scarpa, per l’appunto) che uno della controllata Piemme (io). Ora che (a dar retta a Repubblica) io sono stato penalizzato dal favore che Mondadori doveva a Einaudi per aver gettato l’anno scorso i suoi voti sul piatto della bilancia su cui sedeva Paolo Giordano, Stabat Mater veleggia con i venti a favore di due delle case editrici più importanti del Paese. Ma soprattutto di una specie di congiura planetaria (come direbbe il Cavaliere) contro Scurati. Su Internet e sui giornali si moltiplicano i pamphlet contro di lui. Ultima in ordine cronologico la comi-cronaca della presentazione Mazzucco-Scurati. Arrivato a Benevento forte di un’autocandidatura alla quale non ha mai creduto neppure lui, lo si è visto in Casa Bellonci diventare progressivamente bianco-giallo-verde man mano che Scarpa avanzava a suon di voti e lui regrediva in quarta posizione. Del resto il personaggio non aiuta. Si è conquistato la mia cordiale diffidenza quando al Premio Mondello si e’ detto orgoglioso del fatto di non aver preso neppure un voto della giuria degli studenti (per la cronaca l’impegno della giuria accademica non è stato sufficiente, Scurati si è confermato eterno ex-aequo condividendo il premio con Bajani). Poi ha rincarato la dose proclamandosi orgogliosamente ipocondriaco e rivelando di essere lui il bambino del suo libro che si sveglia la notte per chiamare la polizia convinto che suo padre stesse ammazzando sua madre. Se a questo aggiungete proclami memorabili come “la cronaca è di destra perché è perché è cronaca e perché è nera” (seguendo questa scala cromatico-logica uno che si chiama Scurati dovrebbe essere più meno nella posizione di Publio Fiori) e il costante richiamo alla paura in cui vive la nostra società (io, lo confesso, vivo in una certa tranquillità probabilmente a causa della mia incoscienza) capirete che mi viene difficile ambire ad avere Antonio come commensale. Un caro amico mi assicura che il suo libro è buono, ma che non vincerà perché è troppo disturbante. Lo voglio prendere in parola.
Siamo quasi alla vigilia, quindi ecco il mio pronostico:
- Tiziano Scarpa (vincitore)
- Andrea Vitali
- Cesarina Vighy
- Antonio Scurati
- Massimo Lugli
Del resto questo è l’anno in cui fare pronostici è più difficile: le altre volte si arrivava con un candidato talmente forte che il nome del vincitore era scontato fin dalla prima votazione. Quest’anno per entrare in cinquina servivano almeno 35 voti e c’è da prevedere che tra seconda e terza posizione sarà una bella lotta. Ma il peso di Segrate è quello che è e Scarpa volerà così alto, da non vedere neppure il tavolo dei tapini, gli unici a godersi lo spettacolo con il sorriso sornione di chi non ce l’ha fatta, ma ce la farà.

giovedì 25 giugno 2009

Il Procione ha colpito

Se bazzicate su queste pagine, allora è probabile che conosciate già aNobii. Se non sapete cosa è ve lo sintetizzo in due battute: una community che chi ama i libri non può non frequentare. Andate e iscrivetevi qui. O consultatela anche solo per sapere cosa la gente dice di quel certo libro che siete tentati di comprare, ma temete che sia una fregatura e non vi fidate della classifica dei critici. Oppure se un tale autore tanto osannato vi sembra una sòla e volete scoprire se sul pianeta c'è qualcun altro che la pensa come voi.
Su aNobii ci sono diversi 'gruppi di discussione', il più famoso dei quali è forse Il ghetto dei lettori. All'interno del ghetto (che tanto ghetto non è visto che ha più di cinquemila membri) ci sono recensori più o meno temuti. E mi hanno detto che il più temuto è Procyon Lotor, dotato di prosa raffinata e tagliente. Così quando ho visto che c'era una sua recensione di In terra consacrata...
Leggete qui

mercoledì 17 giugno 2009

Lo Strega secondo Cappelli

Per illustrarvi gli oscuri meccansimi dello Strega, mi affido alle parole di Gaetano Cappelli. Ho avuto il piacere di conoscerlo alla serata di Benevento e posso dire (come ha fatto Frattini parlando di Berlusconi e Obama) che è scattata la chimica per cui ci siamo rimasti subito simpatici.


"Coincidenze 2. dopo 15 anni mi ripresento alla strega e quanti voti prendo?"
di Gaetano Cappelli
Quindici anni fa, nel 1994, nonostante il titolo del mio Volare basso, decisi di partecipare allo Strega il più importante premio letterario d’Italia. Il romanzo era pieno di scene di sesso rovente eppure fu pubblicato da Frassinelli, un editore “puro” come si dice di quegli editori che pubblicano solo libri e quindi privo di quotidiani, settimanali, televisioni, case di produzione cinematografiche e per di più non romano, di conseguenza assolutamente inadatto a “spostare voti” nella normale graziosa pratica di scambio per cui tu fai una cortesia a me io do il mio voto a te. Meccanismo già allora notoriamente imperante allo Strega come, va detto, nella maggioranza dei premi nazionali e non. Così io ero assolutamente certo che non avrei vinto. Mi piazzerò comunque con onore, pensai.
Quindi scrissi, come tutti, perfino il Pasolini, le mie belle letterine ai pochi chhe conoscevo tra glia Amici della domenica come si chiamano così i giurati del Premio - che conoscevo. Il mio editore “puro” sollecitò pure lui il voto ai suoi pochi amici, ma spedì ben quattrocentotrenta copie in lettura ai rimanenti votanti. E con un bottino di nove voti “sicuri” mi preparai all’agone.
Ricordo ancora la sera dello scrutinio della cinquina.
Sulla terrazza di casa Bellonci, spirava la brezza d’inizio estate e mi sentii inoltre carezzare dall’ala lieve della gloria mentre, tra un prosecco e l’altro, raccoglievo gli elogi di queste signore dal trucco pesante, le pettinature ad alveare, gli abiti mai smessi dalla Dolce vita in poi - sei il più bravo, il più moderno di tutti: mi sussurravano - e dei membri giurati loro compagni e altrettanto vegliardi - sei il più originale di tutti sentenziavano.
Finì che mi presi esattamente i miei nove voti “sicuri”, né uno in più né uno in meno, e una delle più grandi mortificazioni mentre i nomi di tutti i nomi degli altri candidati, tranne il mio, continuavano ad echeggiare amplificati tra i nobili palazzi dei Parioli. L’ho detto ero a conoscenza del meccanismo che regolava lo Strega ma non immaginavo si trattasse di un meccanismo tanto perfetto da rasentare la perversione. Uscii da casa Bellonci con una promessa: mai più nella vita!
Invece eccomi di nuovo lì quest’anno.
Mi avevano assicurato: è tutto cambiato, vedrai. Così Cesare De Michelis della Marsilio, nel frattempo il mio editore, lui sì è cambiato ma è pur sempre un editore “puro” nonostante il mio romanzo sia, come tutti i miei romanzi, pieno di scene di sesso rovente, invia al Premio Strega ben seicentocinquanta copie agratis - alcune finiscono nelle scuole: ma chi, avendo dato almeno una scorsa al mio La vedova il santo e il segreto del Pacchero estremo lo avrebbe dato da leggere a dei minorenni? Io vado in giro per una serie di incontri col pubblico, segno del mutamento in atto, finchè qualche giorno fa, intorno alle otto della sera sono di nuovo in via Ruspoli 2.
Il primo che incontro, sotto al portone, è Fulvio Abbate. Devo dire è molto affettuoso. Mi abbraccia e mi fa: ehi, non ci si incontra da anni! Dico essì. Penso: ma se ci siamo visti solo una volta. Mi guardo intorno. Si sfoggia una certa eleganza. Alice, la deliziosa figlia di Cesrina Vighy, sfoggia un abitino delizioso. Scurati ha indosso la sua solita scura tenuta oltre al solito sguardo accigliato - non per niente egli è un autore impegnato. Finalmente arriva il mio editore con al fianco una sua recente scoperta. Ci appropinquiamo all’ascensore. Un cartello ammonisce non più di quattro per volta. In coda ci sono un paio di signore imbalsamate. Una, pare, mi sorrida. Magari si ricorda di me quindici anni fa, pens. No, è solo il rictus che precede la prossima dipartita. In fondo vedo apparire la sagoma dark di Paolo Repetti, Stile libero. Gli anni passano ma lui è sempre vestito in total black: ué è sempre colui che ha lanciato il noir all’italiana. Arriva il nostro turno. Saliamo io, Cesare la sua scoperta e una delle imbalsamate con rictus. Nell’ingresso vedo il grande Walter Pedullà - è molto alto e mi ha premiato, del tutto spontaneamente per Parenti lontani, alla Valle dei Trulli - sì, si chiama così sto premio - in un momento per me molto difficile e gliene sarò grato per sempre. Lo saluto ma non so se mi riconosce. Questa è la regola: salutare tutti quelli che ti avvicinano facendo finta di. Filippo la Porta lui no, lui lo evito. Dopo che me lo sono scarrozzato dappertutto a Potenza facendogli assaporare, per pura cortesia, le gioie della cucina locale poi nemmeno mi ha citato nella rencensione di un libro di racconti di aavv in cui ha citato perfino il gatto di casa. Ma stranamemnte è lui a venirmi vicino. Mi chiede addirittura il numero di telefono. Vuole inserirmi in un suo libro di interviste. Io, che non so conservare rancore, glielo do perfino. Mi faccio largo verso i beveraggi.
In queste occasioni è assolutamente necessario avere un bicchiere in mano. Scherzo e rido con tutti. Editori, giornalisti, scrittori. Ce ne sono varie tribù. I romani nelle loro mise bohèmienne. La colonia di napoletani a Roma anche più che bohèmienne: proprio sciatti. Appare Sgarbi, arpionato alla fortunata di turno: una giovane dallo sguardo perso e persa del tutto a giudicare dalla compagnia. Bevilacqua senza le leggendarie radiografie che certificavano un suo male incurabile che gli valsero, a suo tempo, il favoloso Premio come caso umano. L’arbiter elegantiarum Angelo Bucarelli di ritorno da Venezia dove espone le sue fantastiche sculture. Paola Pitagora che rapì il mio cuore e quello di mio cugino Carlino di Lontrone. Eccosì, sul più bello, inizia lo spoglio.
La voce pallida del vincitore dell’anno scorso, come da tradizione, scandisce i nomi. Io continuo a scherzare con il mio amico Andrea Vitali ma non è come prima: un velo di tensione è calato sulla terrazza. Scurati è sempre più oscurato. Scarpa, mano a mano, diventa invece più rifulgente, pieno di luce e meno Anomino Veneziano. Alice, la figlia di Cristina Vighy, più deliziosa. Il sinistro Massimo Lugli, cronista di nera, pubblicato dal romanissimo e ricchissimo Newton Compton, più carismatico tipo quegli scrittori americani che prima del successo facevano i becchini.
Com’ è finita?
Dopo quindici anni sono arrivato sulla terrazza di casa Bellonci con in tasca quindici voti “sicuri” e, a fine votazione, me ne sono tornato tristemente a casa con esattamente quindici voti e la fondamentale domanda: ma possibile che il mio libro non sia piaciuto a nessuno dei quattrocento amici della domenica? Possibile che tra quattrocento critici, giornalisti, registi, scrittori nessuno mi abbia dato il suo voto a prescindere dai giochi di scuderia? Eppure come ha scritto Schopenhauer - sì, dev’essere stato proprio lui - ha scritto: qualsiasi libro pubblicato, anche il più atroce, troverà qualcuno disposto a giurare che si tratti di un capolavoro. Questo dappertutto tranne che allo Strega. Tra le anime morte, o molto prossime alla morte, così ardentemente spero, dello Strega.

lunedì 15 giugno 2009

E ora che storia vorreste leggere?

Sono curioso: cosa pensate quando entrate in una libreria? Sapete già cosa prendere e andate decisi all'obiettivo o vagate un po' tra le novità sfogliando qua e là? Avete già un'idea di che storia volete leggere o vi lasciate andare alle suggestioni di titoli, copertine e fascette? Proviamo con il sondaggio che trovate qua a lato: fatemi sapere che storia vorreste leggere...

giovedì 11 giugno 2009

Tutto come previsto ma... Sorpresa Lugli!

Allo Strega tutto come da copione. La cinquina è quella che io (ma non sltanto io) avevo previsto da tempo, solo l'ordine d'arrivo è un po' sballato rispetto a quello che avevo pensato. La serata in Casa Bellonci è stata piacevole. Non faceva il terribile caldo che mi avevano preannunciato, ho scambiato quattro chiacchiere con Niccolò Ammaniti ed espresso solidarietà a Paolo Giordano per il sacrificio che deve essergli costato farsi intervistare all'Auditorium e ho conosciuto Fulvio Abate. Poi molto cazzeggio in mezzo a quello che uno si immagina esattamente essere il parterre dello Strega.
Questo l'esito, per chi non lo avesse già letto sulle agenzie:
Tiziano Scarpa - Stabat Mater - Einaudi - 59
Massimo Lugli - L'istinto del lupo - Newton Compton - 45
Cesarina Vighy - L'ultima estate - Fazi - 42
Antonio Scurati - Il bambino che sognava la fine del mondo - Bompiani - 40
Andrea Vitali - Almeno il cappello - Garzanti - 35
E io? Io ho preso 10 (dieci) voti. C'è a chi è andata peggio e considero questo risultato un successo - e non come il Pd con le Europee - perché per essere un libro uscito un mese e mezzo fa, ne ha fatta di strada.
Di Scarpa, Scurati e Vitali si sapeva. Sulla Vighy avrei messo la mano sul fuoco e non per la sua vicenda umana, ma perché tutti (anche le peggiori carogne) mi hanno detto che è davvero un gran bel libro. La vera sorpresa è Lugli. Lo annoveravo tra gli scanazzati come me e Buzzolan, e invece lui zitto zitto s'è andato a prendere il secondo posto. Sono al suo fianco e non solo per solidarietà giornalistica e per vicinanza topografica (lui sta al 90 di via Colombo e io al 98), ma perché non c'è alcuna possibilità che uno come lui, comunque vada a finire, si dia delle arie. Scommetto che sta ancora lì a chiedersi come diavolo è possibile...

In terra consacrata secondo Maurizio Testa

Si vede che Maurizio Testa la struttura del dizionario ce l'ha proprio nel Dna. Ho avuto il piacere di ricevere da lui una originale recensione per punti di In terra consacrata. Per chi non lo conoscesse, Maurizio è autore, insieme con Alessandra Buccheri e Claudia Catalli del Dag - Dizionario Atipico del Giallo di cui ho già scritto qualche tempo fa. Ecco cosa scrive:
Intreccio cronaca-storia: molto buono il mix
Stile: scorrevole, asciutto, senza fronzoli, favorisce il ritmo narrativo, non crea diversivi inutili alla narrazione
Architettura: azzeccato l'intreccio tra le varie vicende ripartite in capitoli diversi e buona la fine dei capitoli che fa venire voglia al lettore di riprendere quella vicenda, appena possibile, ma poi ci si appassiona al capitolo che segue....
Capitoli: ottima la scelta di capitoli brevi, permettono al lettore di seguire meglio il complesso delle vicende e dei personaggi. E poi danno un bel ritmo al romanzo
Personaggi: riusciti sia quelli veri che quelli di fantasia (che appaiono e spariscono al momento giusto, cioè quando meno ce lo si aspetta), sono ben costruiti, senza troppi dettagli, ma con una fisionomia precisa che si delinea nel corso del romanzo
Scenario: per un romano come me, si apprezza la ricostruzione delle location, che sono ben inserite nel contesto, sono funzionali alla storia e non descrizioni tout cout. Poche pennellate che alla fine costituiscono un fondale intrinsecamente legato alle vicende
Finale: i vari filoni si riuniscono senza incongruenze, buchi o contraddizioni. Il finale non è mozzafiato, ma non credo fosse quello il tuo intento e forse tutto sommato non si sarebbe attagliato ad un romanzo che poggia una gamba su fatti realmente accaduti e una su una storia di fantasia (la realtà non è quasi mai eclatante...)
Critica: la lunghezza. Io sono convinto che in genere 350, massimo 400 pagine, siano la misura massima per mantenere la tensione del racconto, tenere alta l'attenzione del lettore e per narrare qualsiasi storia. Oltre questa misura la concentrazione del lettore (almeno per me) subisce un calo... insomma almeno 50 pagine in meno avrebbero giovato e reso i romanzo ancora più intrigante e fruibile di quanto già non lo sia.
Complimenti. Un bel lavoro

mercoledì 10 giugno 2009

E la prima è andata: i ragazzi hanno votato

Il primo test, forse tutto sommato il più vero, è superato. La giuria degli studenti del Premio Strega mi ha dato 9 voti. Non male, visto che In terra consacrata è uscito il 28 aprile e che non ho potuto contare sulla campagna di promozione che gli altri candidati, usciti molto prima, hanno potuto portare avanti nelle scuole con l'iniziativa un anno stregato della Fondazione Bellonci.
E non male soprattutto in considerazione che su 12 candidati mi sono piazzato esattamente a metà - sesto - prendendo più voti di due dei favoriti: Andrea Vitali (1) e Antonio Scurati (5). Mi ha lasciato perplesso l'unico voto tributato dai ragazzi a Gaetano Cappelli, che evidentemente non è ancora riuscito a far breccia nel cuore delle nuove generazioni, mentre non mi ha stupito la vittoria di Tiziano Scarpa (24 voti) e la buona affermazione di Linda Ferri che raccontano, modo diverso, la storia di due adolescenti. Segno che per conquistare il pubblico giovane (i lettori del futuro) bisogna raccontare la loro età senza per questo dover necessariamente essere dei Moccia.
Ma soprattutto è stata una serata molto carina. Serena Dandini in grandissima forma ha messo tutti a proprio agio smussando qualunque spigolo da evento cultural-palloso e riuscendo a sostenere l'insostenibile: una interminabile intervista con il timissimo Paolo Giordano al quale ha strappato parole con la stessa determinazione con cui si estrae un dente del giudizio.
Ma si respira già l'odore aspro della semifinale. A margine non sono mancate le polemiche, soprattutto sulla lenzuolata di Giorgio Vasta su Repubblica alla vigilia del voto (definita da qualcuno un endorsement verso la cinquina). Io nel mio giorno di riposo non apro i giornali e confesso di non averla ancora letta, ma non ho potuto fare a meno di far notare a Giorgio (sulla cui buonafede sono pronto a mettere la mano sul fuoco) che tanti anni lontano da Palermo gli hanno fato dimenticare la regola numero uno: mai fare i nomi.
Domani sera la resa dei conti a Casa Bellonci, con la designazione della cinquina.
I boatos danno per scontato l'ingresso di Scarpa, Vitali e Scurati. Io dico che uno dei due posti restanti andrà a Cesarina Vighy. Per l'ultimo slot... incrociamo le dita.

lunedì 8 giugno 2009

Un piccolo sospetto

Fino ad oggi ho tenuto per me un piccolo sospetto. Ho letto articoli su articoli della stampa straniera sul governo Berlusconi, sul caso Noemi e su tutta la munnizza che (più o meno letteralmente) ricopre il nostro Paese e la classe politica che lo governa o ambisce a governarlo.
Perlopiù si trattava di posizioni di una logica talmente ferrea da non poter essere che condivisa. Il caso Noemi dà la nausea anche a me e non perché mi inquieta che il premier "frequenti minorenni" o che usi i voli di stato per portare Apicella a suonare in Sardegna. Sono vicende per le quali renderà (e in parte ha già reso) conto nell'ordine: al suo elettorato, alla magistratura e a Dio. Quello che mi manda in bestia è che si sia data in pasto alla stampa internazionale l'immagine di un Paese di pulcinella, dove non si pensa che a fare bagordi e a cercare di fregare il prossimo, quando io mi sento diverso da così e molti altri - ne sono sicuro - insieme a me.
Mi dà la nausea il fatto che un giornale come Repubblica si sia perso dietro a un mucchio di domande delle cui risposte - francamente - non me ne frega un accidente. Vorrei chiarezza sul sistema bancario e sulla sua reale tenuta, sul sistema energetico e sul piano di ritorno al nucleare, sulla preparazione dei nostri studenti e sullo stato della ricerca. A queste domande vorrei risposta non al fatto se siamo governati da un fallocrate o meno: allo stato attuale lo considero ancora un problema suo.
Ma quello che davvero mi ha fatto pensare è: che cosa gliene frega alla stampa straniera di cosa fa Berlusconi? Dando per assodato che neanche se fosse a capo della Spectre il mite Franceschini riuscirebbe a convincere i direttori di Economist, Pais e un'altra palata di giornali ad attaccare Berlusconi, cosa c'è dietro questa improvvisa e inedita ondata di indignazione internazionale per quelli che, tutto sommato, saranno pure affaracci nostri?
Oggi però credo di avere avuto una conferma a un sospetto che covavo già da tempo.
Brown è stato azzoppato dalle elezioni locali e poi da quelle europee; Zapatero deve fare i conti con l'amara constatazione che i matrimoni gay non sono la panacea per tutti i mali del governo e si vede surclassato dai popolari; la Germania vede sbriciolarsi la Grosse Koalition e deve affrontare la prospettiva di un esecutivo monocolore con la Cdu che comunque non cresce. Possibile che ai pensatori di Gran Bretagna, Spagna e Germania non vada giù che invece l'italietta delle veline e dei canzonettari si stia rivelando più salda e governabile dei loro Paesi? Possibile che dietro l'attacco a testa bassa contro Berlusconi non ci sia il timore di derive populiste e autoritarie in Italia (del resto quando mai gliene è fregato) ma la paura di una prospettiva insostenibile anche solo a livello subconscio: finire peggio dell'Italia?

sabato 6 giugno 2009

Piccole (grandi) soddisfazioni

Magari è solo una piccola soddisfazione. Ma essere primo in classifica - e sopra Faletti - anche se solo a Palermo, è pur sempre una bella soddisfazione!

mercoledì 3 giugno 2009

La recensione del Messaggero

E' un thriller acre, duro, provocatorio In terra consacrata (Piemme, 460 pagine, 18,50 euro), un romanzo che smuove profondità limacciose, che fa scorrere sangue e pensieri in coni d'ombra mai illuminati. E dove il vero, il verosimile e l'invenzione narrativa s'intrecciano in modo formidabile per raccontare uno dei tanti enigmi irrisolti della storia d'Italia contemporanea, la scomparsa di Emanuela Orlandi. Ugo Barbàra rivela la mano felice dello scrittore nel riuscire a riannodare i mille fili di una vicenda che non ha ancora trovato una verità giudiziaria ma che almeno trova adesso, nel suo libro, una convincente soluzione narrativa. Tocca a Fabrizio Rebecchi - un avvocato che si trasforma suo malgrado in involontario e tenace detective - squarciare la spessa coltre di menzogne, connivenze, intrighi che grava sulla scomparsa di Emanuela, la figlia 15enne di un commesso del Vaticano. Attorno a quella misteriosa sparizione si gioca una partita sporca, una partita che muove scagnozzi della banda della Magliana e servizi segreti, mafiosi e camorristi, banchieri e prelati, in una danza macabra di potenti che dall'ombra decidono le sorti del Paese. La 'verità' di Barbàra non è stata ancora scritta nei tribunali, ma è una verità fatta di domande che è giusto continuar continuare a fare. Anche con un thriller come questo, carico di significato, simbolicamente potente, che riesce a dare un senso ad uno dei passaggi più oscuri dei nostra vita repubblicana.

martedì 2 giugno 2009

Ancora qualche foto

Anna Maria da Milano
Giovanna e Giorgia da Como
Noemi da Roma e, in trasferta da Milano, Susanna & prole.