Due Madri - il booktrailer - in libreria dal 14 aprile

sabato 11 aprile 2009

Grado zero / 2

Un'esperienza da non fare.


E' quello che mi ha detto uno dei nostri inviati appena tornato dall'area del terremoto. E' uno che nella sua vita ne ha viste di tutti i colori: Mogadiscio, Kabul, Baghdad, Kukes. E che ogni volta ne è tornato con un bagaglio di aneddoti e racconti, a volte persino comici e surreali. E ogni volta dicendo: "un'esperienza da fare".
Ma questa volta non è andata così.
E' peggio della guerra, ha detto. Molto peggio. Non c'è un nemico, non ci sono buoni e cattivi, non c'è nulla che possa preparare all'idea. E' solo dolore e morte e disperazione. Quella di chi ha perso tutto; quella di chi ha scavato per ore a mani nude seguendo una voce che si è fatta sempre più flebile; quella di chi è ancora il sindaco, ma non si sa più di cosa.
I giornalisti sono affamati di disastri, è vero. Ma non di tragedie. Chi pensa che si possa godere a vivere immersi nella disperazione non ha capito niente non solo del mestiere di giornalista, ma della vita.
Le guerre, i terremoti, le alluvioni, generano nella gente la voglia di sapere ed è per soddisfare questa esigenza (che non è sempre necessariamente voyeurismo, come invece sostengono alcuni maitre a penser da Bar dello Sport) che i giornalisti si mobilitano e si accollano di dormire in auto, di passare un paio di giorni senza mettere niente sotto ai denti e di gelare in un camper adibito a redazione anche se a pochi chilometri di distanza ci sono le loro case salde, calde e piene di ogni ben di Dio.
E' vero: si parte carichi di adrenalina. Ma si torna spompati, distrutti, con l'istinto di non far vedere le ferite che assistere a cose terribili ha aperto nell'animo, ma con la faccia che tradisce ogni singolo sentimento.
"Non c'è nessun valore aggiunto nel raccontare una tragedia come questa" mi ha detto l'inviato, "lo fai perché devi e basta. Ma vorresti non averlo mai fatto".

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