Due Madri - il booktrailer - in libreria dal 14 aprile

mercoledì 30 settembre 2009

L'avverbio è tuo nemico

Il suo primo (e finora unico) libro non mi era piaciuto. Il suo stile pieno di aggettivi e avverbi mi aveva irritato più delle frasi interminabili o dell'abuso di incisi e subordinate. Oggi leggendo un articolo (?) scritto per il Corriere della Sera posso ribadire la mia convinzione: Alessandro Piperno è sopravvalutato. Spero di essere smentito dal suo prossimo romanzo (che chi gli vuole male dice sarà il prossimo premio Strega) e nel frattempo non commento il contenuto dell'articolo (?).
Ai miei allievi del corso di scrittura insegno a diffidare di alcuni insidiosi compagni di viaggio: l'avverbio, l'aggettivo e i termini desueti o da milieu post-intellettuale. Allego lo scritto di Piperno ed evidenzio solo gli avverbi. Giudicate voi.

Mi chiedo se ciò che vie­ne corrivamente definito «innocentismo» non celi una leale seppur complicata aspirazione umanista. Lo so, per molti l’innocen­tismo è un moto dell’animo tipico di individui privi di struttura e di spina dorsale; la malattia dostoevskiana di chi riesce a identificarsi con l’assassino e non con la vitti­ma, o l’incubo kafkiano di chi teme di essere incastra­to da un momento all’altro per un reato non commes­so. Insomma qualcosa che rischia di diventare, nel mi­gliore dei casi pietistico las­sismo, e nel peggiore posa estetizzante. Tanto più di questi tempi in cui il più prelibato divertissement dei miei connazionali sem­bra consistere nello snidare criminali, leggere intercetta­zioni, spulciare verbali, co­struire ben documentate cattedrali del sospetto. Ma che posso farci se tale dema­gogico esercizio mi appare così rivoltante? E se un mo­to interiore che non ha nien­te a che fare con il sentimen­talismo mi spinge sempre a ipotizzare, di primo acchito, l’innocenza di un mio simi­le?
In questi anni, da che Chiara Poggi è stata trovata morta e il suo ragazzo Alber­to Stasi accusato di averla as­sassinata, è la terza volta che mi capita di chiosare gli ultimi sviluppi del «caso Garlasco». Constato che i due precedenti pezzi erano animati da uno spirito dis­sennatamente innocentista, cui la perizia super partes dell’altro giorno sembra aver dato retroattivamente ragione. Certo, si tratta di una medaglia di latta che non ha nessun senso esibi­re. Più interessante mi sem­bra il fatto che ancora una volta la mia attenzione si concentri su Alberto Stasi. Sulla storia che lo riguarda che, qualora lui fosse inno­cente, mi parrebbe il più perfetto e paradigmatico tra gli incubi contemporanei. Mi spiego. A chi è accadu­to di vedere una propria fo­to sul giornale sa quanto ta­le esperienza sia straniante. La verità è che quella foto ti parla di tutto fuorché di te stesso. Tanto che certe volte hai il sospetto che sia un surrogato, un apocrifo, un’impostura bell’e buona creata ad arte per screditar­ti. Non c’è niente di più pe­noso della discrasia tra il pensiero intimamente affet­tuoso che nutri per la tua ir­rilevante personcina e quel­la specie di essere disgusto­so (quel Mr Hide) catturato dalla foto ora riprodotta, senza il tuo consenso e sen­za alcun ritegno, in centina­ia di migliaia di esemplari.
Mi chiedo se Alberto Stasi, frattanto, abbia fatto il callo alle sue mille foto apparse in questi due anni sui gior­nali. Nel qual caso a que­st’ora saprà che non c’è cen­timetro quadrato del suo corpo né impercettibile det­taglio del suo contegno che non parli di colpevolezza: l’incarnato diafano, la so­brietà dei lineamenti, la sfuggente pudicizia, tutto lo rende l’interprete ideale del ruolo di Stavroghin in una eventuale trasposizione ci­nematografica de I demoni di Dostoevskij. Eppure c’è la possibilità che Stasi, a di­spetto delle più promettenti apparenze, sia semplice­mente innocente. A quanto pare, oltre al suo corpo, al suo contegno e a certe bieche predilezioni sessuali non c’è indizio del­la sua colpevolezza. Ed ecco l’elemento che, al postutto, più mi agghiaccia: tutto nel­la nostra vita (tutto quello che facciamo e non sappia­mo di fare, tutto quello che siamo e non sappiamo di es­sere) può offrire la futura prova e il futuro movente della nostra colpevolezza in un crimine che non abbia­mo ancora commesso e che forse mai commetteremo.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Effettivamente ho pututo piacevolmente riscontare un eccessivo gusto per la parola ricercata, per l'avverbio incuneato all'uopo. Drasticamente il testo risulta spigoloso e difficilmente scorrevole. Io comunque, modestamente pur dilettandomi nello scrivere storie per puro piacere personale, non mi sento nemmeno vagamente in grado di dare un qualsivoglia giudizio.

Giorgio ha detto...

Piperno ha aderito...