In questi giorni c’e’ stato un timido scambio di sms. I tapini si interrogano su cosa fare la sera del 2 luglio. Chi sono i tapini? Sono – anzi siamo – le vittime della terrazza di Casa Bellonci: quelli che hanno avuto il privilegio di varcare la soglia della più letteraria delle dimore romane, ma non avranno l’onore di essere celebrati nella lunga notte del Ninfeo di Villa Giulia. Andare o non andare? Io sono per non andare, anche per un semplice motivo: nessuno ci ha invitati. E del resto credo che sarebbe di cattivo gusto presentarsi in mezzo ai tesissimi finalisti che ormai avranno esaurito le esili scorte di sorrisi di circostanza e avranno ceduto alla ostilità aperta.
Con le previsioni sulla cinquina ci avevo quasi preso. Mi ero meravigliato (con piacere) dell’ingresso di Lugli addirittura al secondo posto, ma chi ha più esperienza di me mi ha spiegato alcuni reconditi meccanismi. Come il fatto che non c’è volta che Newton Compton – editore de L’istinto del lupo -non entri in cinquina. Questo perché può contare su un gruppo di anime morte (così mi sono state descritte) pronte a votare qualunque cosa la famiglia decida di mettere in pista. Così accade che gli autori Newton Compton entrino trionfalmente in cinquina con la buona dote di una quarantina di voti e ne escano ingloriosamente nella serata del Ninfeo. Francamente spero in un capovolgimento delle sorti a favore di Massimo, non perché il suo libro sia più meritorio di altri (non l’ho ancora letto: dei miei ex-compagni di ventura ho cominciato finora solo Il tempo materiale di Vasta) ma perché significherebbe che finalmente un genere riesce a sfondare il muro della Strega e a imporsi.
Sono convinto che tra i titoli usciti vincitori nelle ultime dieci edizioni si possa trovare un filo comune che passa per la storia di sentimenti, il lieto fine, la rassicurazione, l’introspezione e la pippa mentale allo stato puro. E’ chiaro quindi che – ad esempio – una storia aspra come quella raccontata da Vasta non aveva altra speranza che di sfiorare la cinquina. Ma ci tengo a sottolineare che, per quello che ho letto finora, era uno dei pochi a meritarsi davvero la finalissima. Non posso dire se se lo meritasse Antonio Scurati perché dopo essermi preso una delle sòle più grandi della mia vita di lettore con Il rumore sordo della battaglia (lanciato fuori dalla finestra a pagina 30) l’ho bandito dai miei scaffali. Né se lo meritasse Scarpa, perché quando l’ho sfogliato in libreria non ha superato il test delle prime 20 righe. Né quello delle prime 30 né delle prime 50 (ma deve essere un problema mio perché Stabat Mater si è conquistato il voto degli studenti e quello della Dante Alighieri). Se lo meritava senza dubbio Andrea Vitali, non tanto per questo Almeno il cappello, ma per aver divertito almeno una milionata di lettori e avermi conquistato in tempi non sospetti con Il procuratore. Sulla Vighy, non so/non rispondo.
Cosa succederà il 2 luglio? Vincerà Scarpa, almeno a studiare come un Risiko i movimenti dei grandi elettori che come armate si spostano da un titolo all’altro a seconda delle indicazioni delle case editrici. Scarpa può contare sull’appoggio di Mondadori che quest’anno fa finta di non partecipare ma in realtà ha messo in campo sia un titolo della consociata Einaudi (Scarpa, per l’appunto) che uno della controllata Piemme (io). Ora che (a dar retta a Repubblica) io sono stato penalizzato dal favore che Mondadori doveva a Einaudi per aver gettato l’anno scorso i suoi voti sul piatto della bilancia su cui sedeva Paolo Giordano, Stabat Mater veleggia con i venti a favore di due delle case editrici più importanti del Paese. Ma soprattutto di una specie di congiura planetaria (come direbbe il Cavaliere) contro Scurati. Su Internet e sui giornali si moltiplicano i pamphlet contro di lui. Ultima in ordine cronologico la comi-cronaca della presentazione Mazzucco-Scurati. Arrivato a Benevento forte di un’autocandidatura alla quale non ha mai creduto neppure lui, lo si è visto in Casa Bellonci diventare progressivamente bianco-giallo-verde man mano che Scarpa avanzava a suon di voti e lui regrediva in quarta posizione. Del resto il personaggio non aiuta. Si è conquistato la mia cordiale diffidenza quando al Premio Mondello si e’ detto orgoglioso del fatto di non aver preso neppure un voto della giuria degli studenti (per la cronaca l’impegno della giuria accademica non è stato sufficiente, Scurati si è confermato eterno ex-aequo condividendo il premio con Bajani). Poi ha rincarato la dose proclamandosi orgogliosamente ipocondriaco e rivelando di essere lui il bambino del suo libro che si sveglia la notte per chiamare la polizia convinto che suo padre stesse ammazzando sua madre. Se a questo aggiungete proclami memorabili come “la cronaca è di destra perché è perché è cronaca e perché è nera” (seguendo questa scala cromatico-logica uno che si chiama Scurati dovrebbe essere più meno nella posizione di Publio Fiori) e il costante richiamo alla paura in cui vive la nostra società (io, lo confesso, vivo in una certa tranquillità probabilmente a causa della mia incoscienza) capirete che mi viene difficile ambire ad avere Antonio come commensale. Un caro amico mi assicura che il suo libro è buono, ma che non vincerà perché è troppo disturbante. Lo voglio prendere in parola.
Siamo quasi alla vigilia, quindi ecco il mio pronostico:
- Tiziano Scarpa (vincitore)
- Andrea Vitali
- Cesarina Vighy
- Antonio Scurati
- Massimo Lugli
Del resto questo è l’anno in cui fare pronostici è più difficile: le altre volte si arrivava con un candidato talmente forte che il nome del vincitore era scontato fin dalla prima votazione. Quest’anno per entrare in cinquina servivano almeno 35 voti e c’è da prevedere che tra seconda e terza posizione sarà una bella lotta. Ma il peso di Segrate è quello che è e Scarpa volerà così alto, da non vedere neppure il tavolo dei tapini, gli unici a godersi lo spettacolo con il sorriso sornione di chi non ce l’ha fatta, ma ce la farà.