Due Madri - il booktrailer - in libreria dal 14 aprile

lunedì 29 marzo 2010

Un 'motoore' immobile

Avevo dimenticato di aver lasciato in sospeso quella faccenda del motore. Oggi forse dovrei scrivere di elezioni, ma chi segue questo blog sa che non amo essere così aderente alla quotidianità. Del resto il bello di un blog è poter scrivere quello che passa per la testa seguendo più i propri pensieri che il mainstream delle notizie del giorno. La 'faccenda del motore' la trovate accennata qua, ma dato che una promessa è una promessa, è giusto sviscerarla.
Tocca parlare ancora una volta dell'assolutismo dello slang palermitano che si manifesta in due modi: la pretesa che tutti sull'orbe terracqueo lo comprendano e la convinzione che in una sola parola si possa includere una mezza dozzina di significati, anche se farebbero orrore al più scamuffo dei dizionari.
E qui si arriva al motore. Che, per essere compreso appieno, deve essere pronunciato motoore, come se sulla o ci fosse uno di quegli astrusi segnetti fonetici che costringono ad allargare la vocale spalancando un po' la bocca come in preda a profondo stupore (potete pronunciare stupoore, se volete).
Il motoore è da Bolzano a Cefalù una "macchina motrice che ha la proprietà di fornire in uscita un lavoro meccanico utile". Generalmente ha da uno a 'n' pistoni e se non ha ruote, eliche o qualcosa di simile non porta da nessuna parte. Tranne che a Palermo, dove il motoore sfreccia nelle sue cilindrate più varie in ogni strada, vicolo o pirtuso perché di ruote ne ha due.
Anch'io avevo un motoore. Anzi, ne avevo tre. Un Garelli del 1978, una Vespa 125 (bummiata 200) del 1980 e una Yamaha del 1998. Erano tutti diversi, ma erano tutto motoori. Lo era il Garelli (che secondo il codice della strada è un ciclomotore); lo era il Vespone (che è uno scooter) e la Yamaha (che è una motocicletta). Il bello è che la mia Yamaha non era neppure una motocicletta, ma uno Why, una specie di scooter magro che non era affatto male. Però quando mi si chiedeva "che motore hai?" io rispondevo vago "una Yamaha" perché in cuor mio avevo sempre desiderato una XT 600 R e per 500mila lire avevo dovuto ripiegare sul Vespone.
Quello che accadeva, in realtà, era che il lessico panormita veniva in soccorso delle mie ambizioni frustrate: con quella parola così vaga - motoore - riuscivo a far passare un trispito per una discreta bestia da 42 cavalli. Ammucciando la munnizza con scenografie di cartone, come solo i palermitani sanno fare.

sabato 20 marzo 2010

Rappresaglia in salsa siculo-comasca

Accade che un imprenditore palermitano si compri un'azienda a Como. Accade che un giorno decida che a Termini Imerese oggi hanno più bisogno di lavorare che a Como e che metta in scena la sua personale rappresaglia contro la Fiat sbaraccando i macchinari sulle sponde del Lago per trasferirli duemila chilometri più a sud, sulle rive del Mediterraneo.
"Non c'entra niente" mi ha assicurato con l'accento palermitano che sfoggia con orgoglio quando parla con chiunque, che sia io o un committente di Bolzano,"ma quale rappresaglia!". Ma non gli ho creduto, perché ho visto qualcosa balenare nel suo sguardo mentre mi raccontava della faccia che avevano fatto i dipendenti comaschi quando gli aveva annunciato le opzioni: perdere il lavoro o trasferirsi in Sicilia. "Non ce n'è stato uno che ha anche solo preso in considerazione la possibilità di andare a vivere a Termini Imerese" ha detto con un sorriso. Già qualche anno fa, al momento di rilevare l'azienda, gli aveva tirato un bello scherzo. "Sono tutti leghisti" mi aveva raccontato, "di quelli veri, che vanno a Pontida e a quella pagliacciata dell'ampolla con l'acqua del Po. E io sai che ho fatto? Mi sono portato dietro il mio caposquadra di fiducia, così a un padrone terrone ho aggiunto un capo rumeno".
Solo che, ha detto senza l'ombra di un sorriso, quelli a Como un altro lavoro lo trovano in fretta, mentre cosa faranno quelli di Termini Imerese quando la Fiat avrà levato le tende?