Accade che un imprenditore palermitano si compri un'azienda a Como. Accade che un giorno decida che a Termini Imerese oggi hanno più bisogno di lavorare che a Como e che metta in scena la sua personale rappresaglia contro la Fiat sbaraccando i macchinari sulle sponde del Lago per trasferirli duemila chilometri più a sud, sulle rive del Mediterraneo.
"Non c'entra niente" mi ha assicurato con l'accento palermitano che sfoggia con orgoglio quando parla con chiunque, che sia io o un committente di Bolzano,"ma quale rappresaglia!". Ma non gli ho creduto, perché ho visto qualcosa balenare nel suo sguardo mentre mi raccontava della faccia che avevano fatto i dipendenti comaschi quando gli aveva annunciato le opzioni: perdere il lavoro o trasferirsi in Sicilia. "Non ce n'è stato uno che ha anche solo preso in considerazione la possibilità di andare a vivere a Termini Imerese" ha detto con un sorriso. Già qualche anno fa, al momento di rilevare l'azienda, gli aveva tirato un bello scherzo. "Sono tutti leghisti" mi aveva raccontato, "di quelli veri, che vanno a Pontida e a quella pagliacciata dell'ampolla con l'acqua del Po. E io sai che ho fatto? Mi sono portato dietro il mio caposquadra di fiducia, così a un padrone terrone ho aggiunto un capo rumeno".
Solo che, ha detto senza l'ombra di un sorriso, quelli a Como un altro lavoro lo trovano in fretta, mentre cosa faranno quelli di Termini Imerese quando la Fiat avrà levato le tende?
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