Avevo dimenticato di aver lasciato in sospeso quella faccenda del motore. Oggi forse dovrei scrivere di elezioni, ma chi segue questo blog sa che non amo essere così aderente alla quotidianità. Del resto il bello di un blog è poter scrivere quello che passa per la testa seguendo più i propri pensieri che il mainstream delle notizie del giorno. La 'faccenda del motore' la trovate accennata qua, ma dato che una promessa è una promessa, è giusto sviscerarla.
Tocca parlare ancora una volta dell'assolutismo dello slang palermitano che si manifesta in due modi: la pretesa che tutti sull'orbe terracqueo lo comprendano e la convinzione che in una sola parola si possa includere una mezza dozzina di significati, anche se farebbero orrore al più scamuffo dei dizionari.
E qui si arriva al motore. Che, per essere compreso appieno, deve essere pronunciato motoore, come se sulla o ci fosse uno di quegli astrusi segnetti fonetici che costringono ad allargare la vocale spalancando un po' la bocca come in preda a profondo stupore (potete pronunciare stupoore, se volete).
Il motoore è da Bolzano a Cefalù una "macchina motrice che ha la proprietà di fornire in uscita un lavoro meccanico utile". Generalmente ha da uno a 'n' pistoni e se non ha ruote, eliche o qualcosa di simile non porta da nessuna parte. Tranne che a Palermo, dove il motoore sfreccia nelle sue cilindrate più varie in ogni strada, vicolo o pirtuso perché di ruote ne ha due.
Anch'io avevo un motoore. Anzi, ne avevo tre. Un Garelli del 1978, una Vespa 125 (bummiata 200) del 1980 e una Yamaha del 1998. Erano tutti diversi, ma erano tutto motoori. Lo era il Garelli (che secondo il codice della strada è un ciclomotore); lo era il Vespone (che è uno scooter) e la Yamaha (che è una motocicletta). Il bello è che la mia Yamaha non era neppure una motocicletta, ma uno Why, una specie di scooter magro che non era affatto male. Però quando mi si chiedeva "che motore hai?" io rispondevo vago "una Yamaha" perché in cuor mio avevo sempre desiderato una XT 600 R e per 500mila lire avevo dovuto ripiegare sul Vespone.
Quello che accadeva, in realtà, era che il lessico panormita veniva in soccorso delle mie ambizioni frustrate: con quella parola così vaga - motoore - riuscivo a far passare un trispito per una discreta bestia da 42 cavalli. Ammucciando la munnizza con scenografie di cartone, come solo i palermitani sanno fare.
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