(AGI) – Pechino, 8 mag. – Il Dalai Lama ha ingannato la comunita' internazionale; non ha idea di come il Tibet si sia trasformato negli ultimi 50 anni e non tiene conto del fatto che l'80 per cento dei tibetano non vuole saperne dell'indipendenza dalla Cina. Per non parlare delle proteste di Lhasa, "guidate dalla cricca del Dalai Lama e condotte da una minoranza scontenta e da criminali incalliti". E' un fuoco di fila quello che gli studiosi del China tibetology research center riservano al leader buddhista e ce n'è anche per la stampa europea che, dicono, si e' concentrata troppo sull'aspetto religioso e non ha preso in considerazione i progressi economici e sociali che il Tibet ha conosciuto sotto la dominazione cinese.
"Se davvero si vuole conoscere il Tibet, non bisogna documentarsi sui blog, ma con approfondite ricerche sul campo dice all'Agenzia Italia Tenzin Ganpa, vicedirettore del Centro creato 23 anni fa e finanziato dal governo di Pechino, "il turismo e il giornalismo non sono ricerche vere. La stampa occidentale si ostina a sentire solo una campana, quella suonata da 100mila esuli, e non si preoccupa di ascoltare sei milioni di tibetani che vivono in Cina.
"Il governo centrale" aggiunge Tenzin, "ha diversi canali per conoscere gli umori e i desideri della popolazione, ma esprimerli con i disordini non e' ammissibile in nessuna parte del mondo. In occidente si dice che la gente manifesta perche' non e' contenta delle condizioni di vita, ma le nostre ricerche dimostrano che non e' cosi'. L'80 per cento della popolazione non vuole saperne dell'indipendenza dalla Cina, perche' per ogni 10 yuan (un euro, ndr) investiti in Tibet, 9 vengono dal governo centrale. Sarebbe assurdo se i tibetani volessero vivere con il 10 per cento di quello che hanno adesso e rinunciare a privilegi come quello di una casa piu' grande di quella che puo' permettersi una famiglia media di Pechino grazie al progetto di edilizia popolare che e' stato avviato a Lhasa. Anche tra gli esuli pochi sono a favore dell'indipendenza e prova ne e' che molti sono tornati per investire nella loro madrepatria le ricchezze accumulate all'estero".
Ma e' sulla 'cricca del Dalai Lama' – un'espressione entrata ormai nel gergo dei funzionari cinesi – che si concentrano le accuse. "In origine la parola 'indipendenza' neppure compariva nel vocabolario tibetano" ha aggiunto Tenzin, "e il titolo stesso di Dalai Lama deriva da una tradizione di patriottismo che egli ha tradito. Non si puo' paragonare quello che il Dalai Lama dice alla situazione reale: egli manca dal Tibet da 50 anni e la regione si e' completamente trasformata. Perché non da' ascolto a quello che al popolazione locale vuole oggi?"
Tanzin insiste piu' volte sulla coincidenza tra l'anniversario dell'esilio del Dalai Lama e lo scoppio dei disordini a Lasa. "Non e' stata una manifestazione spontanea, ma organizzata con largo anticipo" dice, "i manifestanti, tra i quali c'erano molti pregiudicati per reati gravi, hanno usato oggetti che non si trovano per le strade di Lhasa e che sono stati evidentemente portati con uno scopo. I giovani che coinvolti hanno poi ammesso di essere stati convinti a lasciarsi andare alle violenze. Anche coloro che hanno disturbato la marcia della torcia sono poche centinaia di indipendentisti che non godono del sostegno di nessuno". (AGI)
"Se davvero si vuole conoscere il Tibet, non bisogna documentarsi sui blog, ma con approfondite ricerche sul campo dice all'Agenzia Italia Tenzin Ganpa, vicedirettore del Centro creato 23 anni fa e finanziato dal governo di Pechino, "il turismo e il giornalismo non sono ricerche vere. La stampa occidentale si ostina a sentire solo una campana, quella suonata da 100mila esuli, e non si preoccupa di ascoltare sei milioni di tibetani che vivono in Cina.
"Il governo centrale" aggiunge Tenzin, "ha diversi canali per conoscere gli umori e i desideri della popolazione, ma esprimerli con i disordini non e' ammissibile in nessuna parte del mondo. In occidente si dice che la gente manifesta perche' non e' contenta delle condizioni di vita, ma le nostre ricerche dimostrano che non e' cosi'. L'80 per cento della popolazione non vuole saperne dell'indipendenza dalla Cina, perche' per ogni 10 yuan (un euro, ndr) investiti in Tibet, 9 vengono dal governo centrale. Sarebbe assurdo se i tibetani volessero vivere con il 10 per cento di quello che hanno adesso e rinunciare a privilegi come quello di una casa piu' grande di quella che puo' permettersi una famiglia media di Pechino grazie al progetto di edilizia popolare che e' stato avviato a Lhasa. Anche tra gli esuli pochi sono a favore dell'indipendenza e prova ne e' che molti sono tornati per investire nella loro madrepatria le ricchezze accumulate all'estero".
Ma e' sulla 'cricca del Dalai Lama' – un'espressione entrata ormai nel gergo dei funzionari cinesi – che si concentrano le accuse. "In origine la parola 'indipendenza' neppure compariva nel vocabolario tibetano" ha aggiunto Tenzin, "e il titolo stesso di Dalai Lama deriva da una tradizione di patriottismo che egli ha tradito. Non si puo' paragonare quello che il Dalai Lama dice alla situazione reale: egli manca dal Tibet da 50 anni e la regione si e' completamente trasformata. Perché non da' ascolto a quello che al popolazione locale vuole oggi?"
Tanzin insiste piu' volte sulla coincidenza tra l'anniversario dell'esilio del Dalai Lama e lo scoppio dei disordini a Lasa. "Non e' stata una manifestazione spontanea, ma organizzata con largo anticipo" dice, "i manifestanti, tra i quali c'erano molti pregiudicati per reati gravi, hanno usato oggetti che non si trovano per le strade di Lhasa e che sono stati evidentemente portati con uno scopo. I giovani che coinvolti hanno poi ammesso di essere stati convinti a lasciarsi andare alle violenze. Anche coloro che hanno disturbato la marcia della torcia sono poche centinaia di indipendentisti che non godono del sostegno di nessuno". (AGI)
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