Dovevamo essere in dodici, ci ritroviamo in tre. Dodici, certo, non lo saremmo stati mai. Le possibilità di vedere la Salma e Scarpa sullo stesso palco o forse anche solo nella stessa sala senza che la tensione fulmini qualche innocente sono
infinintesimali. Per gli altri, si sa, valgono le regole delle allegre comitive: pacche sulle spalle, promesse di non perdersi di vista e poi ognuno per la sua strada. Strade che a volte tornano a incrociarsi - come è accaduto a
me e a Massimo Lugli
travolti dalle novità sul caso
Orlandi - o agli altri che si ritrovano
periodicamente nelle fiere, nei saloni, nei festival e ai premi.
Noi ci siamo ritrovati a Benevento: io, Giorgio Vasta e Filippo Bologna. Una missione rapida e indolore. Addirittura piacevole: andare a incontrare i ragazzi delle scuole superiori per parlare di libri e non solo di libri.
Vasta lo vedo subito che vaga perplesso in testa al binario 9 di Termini. E' in piedi da un'ora vergognosa, si sta scapicollando da Torino e delle prossime 24 ore 10 le passerà in viaggio. Onore al sacrificio.
Filippo Bologna ci raggiunge quando siamo appena saliti sull'Eurostar, mentre la quarta compagna di viaggio dà forfait per sopravvenuta influenza. Gli altri - gli organizzatori dello Strega - sono già in viaggio da ore, il portabagagli dell'auto pieno di libri. Onore al sacrificio II.
Sono reduce dal clima da gita scolastica dello
Scerbanenco e quella di questo vagone non si può esattamente definire un'atmosfera goliardica. Ho letto durante l'estate lo
straordinario libro di Giorgio e mi sono già costruito la mia personale, netta percezione della differenza che c'è tra di noi. Ogni parola del suo libro è pesata con un bilancino che io non saprei
neppure dove andare a
comprare, anzi che
probabilmente neppure si vende. Un bilancino che si è fatto da solo, lavorando anni per
aggiungere un pezzo dopo l'altro. Anche Filippo se n'è fatto uno tutto suo, con un lavoro che lui stesso definisce
da tombarolo. Non parlano mai di premi, di numeri di edizioni, di copie vendute, delle capacità di questo o di quell'agente. Parlano di Lingua. Di una Lingua che hanno esplorato e che conoscono in un modo
talmente profondo da averla assunta a metro di giudizio. Tanto da averle sottomesso la storia.
Ecco, è questa la differenza: loro mettono
la storia al servizio della Lingua, io metto la lingua al servizio della storia. Quando parlando di un libro - e ne snocciolano almeno una ventina che non solo non ho
letto, ma di cui non ho mai neppure sentito parlare - non giudicano
solo la storia. Anzi a volte non la
valutano affatto. Parlano della Lingua. Di ciò che le parole hanno evocato non attraverso quella sensazione che spesso si prova e che si cerca di esplicitare dicendo "bello, come vedere un film", ma
attraverso ciò che la Lingua, attraverso le parole, ha costruito. Le parole sono il blocco di marmo e lo scalpello è la conoscenza che di quelle si ha. L'opera finale è ciò che la Lingua ha impresso al blocco di marmo e che può essere armonico e
meraviglioso o assurdo e
stupefacente o chissà
cos'altro.
Ma che sento distante da quello che faccio io.
Come andare in giro per librerie dell'usato. Filippo e Giorgio tracciano sotto ai miei occhi una mappa nazionale delle migliori librerie dell'usato dividendole
addirittura per tipologie, per
specializzazioni, per classi. Si
entusiasmano per il
ritrovamento in una bancarella di un libro che credevano perduto e
irraggiungibile. E mentre io mi glorio della mia tessera della biblioteca di
Campagnano che mi permette di continuare a leggere quello che più mi va senza dover affrontare l'oneroso impegno di mettere ordine nella mia strabordante libreria, Giorgio mi confessa che i libri preferisce possederli
perché così
può scriverci sopra.
Arriviamo a Benevento. Fa un freddo pazzesco, ma la bella città che ricordo dall'estate scorsa è ancora
più affascinante. Il teatro è pieno di ragazzi: ci illudiamo che siano qui per noi e non solo per
risparmiarsi il pomeriggio di studio. Lo spero per loro più che per noi
perché gli interventi di Giorgio (su
Fenoglio) e di Filippo (su
Bianciardi) sono davvero un tesoro da raccogliere e conservare. Io ho portato il Gattopardo e mentre leggo le pagine del Principe e delle scimmiette ho la pelle d'oca.
Meno di due ore in tutto, poi l'assalto ai nostri libri esposti sul tavolo
all'ingresso (omaggio del Premio) e al buffet. Un buffo signore che avrebbe fatto la felicità di
Lombroso, dà periodico e indefesso assalto a un alberello di Natale ornato di
cioccolatini Strega che
strappa con furia dai rami e tesaurizza nelle tasche. Poi si accorge che tutti abbiamo notato le sue movenze da pesce spazzino e facendo il vago punta verso il
vassoio della pizza farcita.
Altre due ore a spasso per la città, per vedere la
città di luce e siamo sul treno del ritorno. Giorgio mi mostra "
Jimmy Corrigan. Il ragazzo più in gamba sulla Terra" una fantastica
Graphic Novel di
Chris Ware. E di nuovo si parla di libri e di scrittura. Ma mai di storie. Di nuovo mi sento lontano dal loro modo di intendere questa cosa che comunque ci unisce e ne sono affascinato. Mi stupisce questa loro capacità di scrivere a prescindere dal lettore, pensando prima di tutto alle parole e alla Lingua e solo dopo alla storia. Pur
riconoscendo - e citano un paio di casi - che senza storia si può avere tutta la Lingua del mondo, ma non si va lontano.
La loro Lingua e le loro parole
hanno reso questo viaggio breve. Ci salutiamo senza le formule di rito:
né "ci vediamo" e neppure "sentiamoci, eh...". Se accadrà, accadrà. Se sui sentieri della Lingua o su quelli delle storie, non importa.