E' stata una bella serata. Davvero una bella serata. E non lo dico solo perché ne sono uscito vincitore, ma perché me la sono goduta fino in fondo, fino alle quattro e mezzo del mattino, fatte a sorseggiare rum su una terrazza con una splendida vista su Cagliari.
Tutto, poi, ha avuto un che di miracoloso. Arrivare in tempo alla cerimonia era praticamente impossibile. Il mio aereo da Pechino partiva alle 13,30 e alle 21,30 dovevo a ogni costo essere a Cagliari. Perché fosse possibile dovevano incrociarsi una serie di congiunzioni astrali sulle quali, per via del ritardo cronico dei voli Meridiana per la Sardegna, era impossibile fare affidamento. E invece è filato tutto liscio.
Alle dieci e mezzo del mattino, ricevuto dall'ambasciatore italiano a Pechino, sbircio nervoso l'orologio. Sul traffico di una metropoli non si può fare affidamento e su quello di Pechino men che meno: basta una chiacchierata più lunga del previsto a farmi perdere l'aereo. E invece arrivo nel monumentale Terminal 3 perfettamente in orario. L'Airbus nuovo di zecca dell'Air China parte in perfetto orario e pazienza se accumula mezz'ora di ritardo durante il volo. Pazienza anche se dopo essersi scolato 200 cl di grappa cinese a 43 gradi a digiuno il mio vicino di posto si accascia sulla mia spalla ronfando come un mantice e pazienza se sulla poltrona di là dal corridoio un altro continua a scatarrare chinese-style nella bustina per il mal d'aereo. E' un volo più che tollerabile, anche grazie alla possente batteria del mio iPod che mi tiene compagnia per 11 ore e mezzo.
Arrivo a Fiumicino, corsa precipitosa agli imbarchi Meridiana e - sorpresa! - volo in partenza in orario. A Cagliari trovo l'autista pronto e veloce e alle 21,30 in punto sono al Teatro Lirico, dove la cerimonia è iniziata da una manciata di minuti.
E qui ho la prima sensazione positiva: tutto troppo perfetto per essere casuale.
La serata procede, lunga, ma dinamica e senza intoppi. Vengono premiati i finalisti della sezione inedito, quelli per la saggistica e gli autori mediterranei. In quest'ultima sezione c'è un piccolo giallo: è presente solo Lizzie Doron e qualcuno bisbiglia che gli altri due finalisti - due egiziani - hanno dato forfait perchè il loro sindacato degli scrittori non gli avrebbe perdonato di essere saliti sul palcoscenico al fianco di un'israeliana. Poco dopo Salvatore Niffoi farà piazza pulita delle chiacchiere: dietro l'assenza dei due non c'è niente di politico. Ma Lizzie non ci crede.
Arriva un lungo, bellissimo momento musicale dedicato a Fabrizio De Andrè. Sul palcoscenico si danno il cambio i Tazenda, Nada, Viola Valentino e Teresa De Sio che reinterpretano brani di Fabris. Dalle poltrone accanto a me gli altri due finalisti nella sezione narrativa non trovano pace: Gianfranco Manfredi entra ed esce in continuazione dalla sala e Silvia Ronchey sbuffa vapore acqueo da una lunga sigaretta elettronica.
E qui ho una prima sensazione negativa: magari loro sanno già chi è il vincitore.
Sul palcoscenico Michele Mirabella inanella una gaffe dietro l'altra ma le trasforma tutte in teatro e Nadia Bengala non azzecca un accento, ma le sono solidale: neppure io ho molta confidenza con la lingua sarda e avrei fatto i suoi stessi errori.
La platea ammutolisce quando sul palcoscenico sale Lila Azam Zanganeh, scrittrice e giornalista iraniana, docente di Harvard quando aveva appena 22 anni, fluente in cinque lingue. e bella come il sole. Sembra che lei e Mahmoud Ahmadinejad non vengano solo da due Paesi diversi, ma da due costellazioni lontane miliardi di anni luce.
E' mezzanotte passata quando Anna Galiena legge il primo capitolo di In Terra Consacrata. Ho la pelle d'oca, non solo perché dopo aver sentito leggere le stesse pagine a lei e a Laura Morante mi sembra di non poter desiderare un destino migliore per le mie parole, ma perché ci siamo quasi...
Mirabella riprende il microfono.
And the winner is...
Cavolo, non ci posso credere. Salto sulla sedia. Per me sono le sette del mattino, non dormo da 24 ore ma sembro Nino Castelnuovo mentre saltello come un grillo sugli scalini del palcoscenico. I riflettori mi abbagliano, Dori Ghezzi mi fa i complimenti e mi stringe le mani, mi fanno domande e do risposte (sensate) che non ricordo.
Strette di mano, sorrisi, complimenti, adrenalina al massimo. Bellissima sensazione.
Andiamo a cena al ristorante del T-hotel; sono al tavolo con la Ronchey, con Manfredi, con la Zangane e con un pianista che non conosco, ma che ha fatto una splendida interpretazione di un paio di canzoni di De Andrè. Solo dopo un paio di giorni scoprirò che Cesare Picco è un genio assoluto e che il suo ultimo disco è uno dei più belli che abbia mai sentito. A cena sono solo capace di chiedergli se ha già inciso, ignorando il fatto che sia all'undicesimo Lp. Bella figura!
Con Manfredi parliamo di Cina e un po' di montagna. Poi si alza e scompare. Scompare davvero, si smaterializza. Se ne va in camera senza neppure salutare: non so se sperare che sia per maleducazione o per rosiconeria. Dopo un po' ci abbandona anche la Ronchey. Ma lei, almeno, saluta.
Scherzo a lungo con Lizzie Doron. E' bello conoscere finalmente un'israeliana laica, disincantata e ironica come solo gli ebrei sanno essere.
Alle due siamo nell'aria tiepida della notte cagliaritana, tutti troppo eccitati per andare a dormire. Con Niffoi, Luigi Puddu (superbo chitarrista) e il marito della Bengala (una vera scoperta! andiamo a bere rum sulla terrazza di Alfredo Franchini, autore di un bel libro su De Andrè. Si parla di musica, si fa musica. Si parla di letteratura, di quelli che se la tirano e di quelli come noi che sembra che si conoscano da una vita.
Alle quattro e mezzo è ora di andare. Ci abbracciamo promettendoci di risentirci presto e di rivederci altrettanto presto. Siamo una ghenga di amici di vecchia data. Posso andare a dormire con un sorriso e la testa che mi gira.
Arrivo a Fiumicino, corsa precipitosa agli imbarchi Meridiana e - sorpresa! - volo in partenza in orario. A Cagliari trovo l'autista pronto e veloce e alle 21,30 in punto sono al Teatro Lirico, dove la cerimonia è iniziata da una manciata di minuti.
E qui ho la prima sensazione positiva: tutto troppo perfetto per essere casuale.
La serata procede, lunga, ma dinamica e senza intoppi. Vengono premiati i finalisti della sezione inedito, quelli per la saggistica e gli autori mediterranei. In quest'ultima sezione c'è un piccolo giallo: è presente solo Lizzie Doron e qualcuno bisbiglia che gli altri due finalisti - due egiziani - hanno dato forfait perchè il loro sindacato degli scrittori non gli avrebbe perdonato di essere saliti sul palcoscenico al fianco di un'israeliana. Poco dopo Salvatore Niffoi farà piazza pulita delle chiacchiere: dietro l'assenza dei due non c'è niente di politico. Ma Lizzie non ci crede.
Arriva un lungo, bellissimo momento musicale dedicato a Fabrizio De Andrè. Sul palcoscenico si danno il cambio i Tazenda, Nada, Viola Valentino e Teresa De Sio che reinterpretano brani di Fabris. Dalle poltrone accanto a me gli altri due finalisti nella sezione narrativa non trovano pace: Gianfranco Manfredi entra ed esce in continuazione dalla sala e Silvia Ronchey sbuffa vapore acqueo da una lunga sigaretta elettronica.
E qui ho una prima sensazione negativa: magari loro sanno già chi è il vincitore.
Sul palcoscenico Michele Mirabella inanella una gaffe dietro l'altra ma le trasforma tutte in teatro e Nadia Bengala non azzecca un accento, ma le sono solidale: neppure io ho molta confidenza con la lingua sarda e avrei fatto i suoi stessi errori.
La platea ammutolisce quando sul palcoscenico sale Lila Azam Zanganeh, scrittrice e giornalista iraniana, docente di Harvard quando aveva appena 22 anni, fluente in cinque lingue. e bella come il sole. Sembra che lei e Mahmoud Ahmadinejad non vengano solo da due Paesi diversi, ma da due costellazioni lontane miliardi di anni luce.
E' mezzanotte passata quando Anna Galiena legge il primo capitolo di In Terra Consacrata. Ho la pelle d'oca, non solo perché dopo aver sentito leggere le stesse pagine a lei e a Laura Morante mi sembra di non poter desiderare un destino migliore per le mie parole, ma perché ci siamo quasi...
Mirabella riprende il microfono.
And the winner is...
Cavolo, non ci posso credere. Salto sulla sedia. Per me sono le sette del mattino, non dormo da 24 ore ma sembro Nino Castelnuovo mentre saltello come un grillo sugli scalini del palcoscenico. I riflettori mi abbagliano, Dori Ghezzi mi fa i complimenti e mi stringe le mani, mi fanno domande e do risposte (sensate) che non ricordo.
Strette di mano, sorrisi, complimenti, adrenalina al massimo. Bellissima sensazione.
Andiamo a cena al ristorante del T-hotel; sono al tavolo con la Ronchey, con Manfredi, con la Zangane e con un pianista che non conosco, ma che ha fatto una splendida interpretazione di un paio di canzoni di De Andrè. Solo dopo un paio di giorni scoprirò che Cesare Picco è un genio assoluto e che il suo ultimo disco è uno dei più belli che abbia mai sentito. A cena sono solo capace di chiedergli se ha già inciso, ignorando il fatto che sia all'undicesimo Lp. Bella figura!
Con Manfredi parliamo di Cina e un po' di montagna. Poi si alza e scompare. Scompare davvero, si smaterializza. Se ne va in camera senza neppure salutare: non so se sperare che sia per maleducazione o per rosiconeria. Dopo un po' ci abbandona anche la Ronchey. Ma lei, almeno, saluta.
Scherzo a lungo con Lizzie Doron. E' bello conoscere finalmente un'israeliana laica, disincantata e ironica come solo gli ebrei sanno essere.
Alle due siamo nell'aria tiepida della notte cagliaritana, tutti troppo eccitati per andare a dormire. Con Niffoi, Luigi Puddu (superbo chitarrista) e il marito della Bengala (una vera scoperta! andiamo a bere rum sulla terrazza di Alfredo Franchini, autore di un bel libro su De Andrè. Si parla di musica, si fa musica. Si parla di letteratura, di quelli che se la tirano e di quelli come noi che sembra che si conoscano da una vita.
Alle quattro e mezzo è ora di andare. Ci abbracciamo promettendoci di risentirci presto e di rivederci altrettanto presto. Siamo una ghenga di amici di vecchia data. Posso andare a dormire con un sorriso e la testa che mi gira.
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