Del Premio Strega sono votante dal 1991. Sono anche disceso in campo per far vincere buoni libri, nel 1995 il romanzo postumo di M.Teresa Di Lascia, l’anno scorso quello di Paolo Giordano. Per il meccanisno dei 400 votanti legati ai gruppi editoriali, lo Strega va quasi sempre o al gruppo Mondadori-Einaudi o a quello Rizzoli-Bompiani o a Feltrinelli. Di rado la qualità dell’opera conta, la vittoria va quasi sempre alla forza editoriale. Così quest’anno, dopo due consecutive vittorie Mondadori-Einaudi, si prevede che – anche per il non esaltante valore delle altre 11 opere presentate, con le eccezioni, per me, di quelle di M. Lugli e di F. Bologna – la vittoria toccherà a Rizzoli-Bompiani, con il romanzo di Antonio Scurati “Il bambino che sognava la fine del mondo” (Bompiani, pag 295, euro 18). Che è uno dei libri meno belli e meno riusciti, che mi sia capitato di leggere di recente.PERCHÉ INGANNARE il lettore che si affidi ancora alla credibilità dei premi come lo Strega? Perché scaricare sul suo potere di richiamo la debolezza di un libro? Onestà intellettuale di lettore votante mi spinge a una denuncia di pura difesa del lettore medio e del vecchio premio. All’ultima pagina di Scurati, un aforisma di Wittgenstein mi tormentava “Di ciò di cui non si può parlare bisogna tacere”. Di che parla il suo libro, senza riuscire mai del tutto a narrarne, restando ibrido fra cronaca e invenzione, come riconosce lui stesso nella premessa? Di pedofilia, argomento che - va riconosciuto il coraggio di Scurati, attratto sempre dall’alto tema del Male - non sedurrebbe mai a prima vista il lettore. Ma Scurati il suo lettore non prova nemmeno ad accompagnarlo! E subito lo prende a ceffoni con quel contrappunto fra i deliri del bambino sonnambulo, che egli era nell’infanzia, e la faticosa narrazione di sé adulto. Una doccia scozzese costante. L’autore prende le mosse dagli articoli commissionatigli da “La Stampa” sul mondo della pedofilia a Bergamo, dove è scoppiata una vera caccia all’untore, per casi di pedofilia in una scuola e in un seminario vescovile. E sempre più coinvolto nella sua ricerca, scarica nel libro-contenitore suoi articoli de “La Stampa”, indagini sociologiche, statistiche, interviste a Matrix in tv … SEMPRE IN AGGUATO, il narciso a pag 113 non lo trattiene dal descrivere “non senza imbarazzo” che tipo di mutande compra. Per circa 240 pagine il flusso narrativo viene sgangherato dagli intarsi giornalistici e dal contrappunto degli oscuri deliri del bambino Scurati. Gli si potrà perdonare che non citi Alcmane a pag 45, “Dormono le cime dei monti e le gole…”. La narrazione si innalza nelle ultime 50 pagine, dove il lirico abbandono nella bella scena della visita ai genitori a Napoli e nel ritorno di Martina, madre del figlio nascituro, fuga le “oscurità” di Scurati. Ma il lettore avrà avuto la forza di arrivare a guadagnarsene la problematica paternità?
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