Il violento scossone della caldaia che si metteva in funzione faceva tremare anche la testiera del mio letto. Quel vecchio polmone che sputava carbone nel cielo di Long Island era il mio buongiorno. Avevo fatto in fretta ad abituarmici e ad aiutarmi era il rumore che ogni mattina precedeva quel fragore di acciaio e rame. I passi di Maria lungo la scala che portava nel basement erano pesanti e incerti. Mi stupiva sempre come una vecchietta così esile potesse fare tanto baccano per scendere la dozzina di scalini che dal piano nobile della casa di West Beech st. portava nel regno che avevo usurpato: il seminterrato.
Ero orgoglioso di quella sistemazione. Era gratis, innanzitutto, e per un ragazzo di ventiquattro anni in fuga dall'Italia era una manna dal cielo. E poi era una specie di Paese dei Balocchi, con tanto di flipper anni '60 e bancone da bar. L'avevano sistemato così perché l'intenzione era che diventasse... Non lo sapevano bene neppure loro, ma quando avevo chiesto ospitalità me l'avevano messo a disposizione: molto più spazio di quello che mi serviva. Lo strattone della caldaia dopo poche ore di sonno era un disagio più che lieve da sopportare.
Maria parlava poco. Cucinava i più orribili pancake che abbia mai mangiato, ma solo perché era cibo americano e lei disprezzava quella roba. Così nei - rari - pasti che consumavo a casa mi rifacevo degli hot-dog da un dollaro e hamburgher a buon mercato con cui tamponavo la fame nelle mie giornate a Manhattan.
Come io mi ero abituato in fretta al chiasso della caldaia, così Maria aveva familiarizzato con i miei orari balordi. Le avevo spiegato che dovevo far coincidere i miei ritmi con quelli delle redazioni in Italia, ma lei era convinta che se mi ritiravo alle tre di notte era solo perché stavo a bighellonare perla città.
Insieme a poche parole condividevamo rituali essenziali. Era lei a portarmi a tavola un bicchiere colmo di spremuta d'arancia Tropicana a colazione ed ero io a lasciare ogni notte il segnale convenuto che doveva rassicurarla sul mio rientro a casa. Ogni notte, prima di andare a dormire, lasciavo il bicchiere con cui avevo bevuto l'ultimo sorso d'acqua della giornata sempre nello stesso angolo della cucina. Una notte che non avevo sete mancai il segnale e l'indomani i passi di Maria lungo la scala furono più pesanti del solito e a svegliarmi non fu il clangore della caldaia, ma lei che si precipitava a controllare che fossi tornato. Non mancai più di lasciare il bicchiere nel posto convenuto.
Una sola volta l'accompagnai a fare la spesa. Ci vollero quattro ore, perché se cercava dello sciroppo d'acero doveva passare in rassegna tutte le 99 marche disposte sullo scaffale; confrontare prezzi, data di scadenza e origine. E poi perché non ero in grado di aiutarla: nel suo personale idioma gli articoffi erano i carciofi e la emma il prosciutto. Mi serviva più tempo per comprendere di cosa avesse bisogno che per trovarlo.
Le avevo promesso che le avrei letto la saga che sto portando avanti da anni e che è ispirata alla straordinaria storia della sua famiglia. Non so quando finirò di scriverla e probabilmente avevo fatto male a farle quella promessa.
Ne ho avuto la conferma oggi, quando mi è arrivata una telefonata da molto lontano. "Maria non potrà più portarti l'aranciata" mi ha detto chi aveva imparato a conoscere i nostri rituali e un tempo ne aveva riso.
Hats off to Maria.
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