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giovedì 17 settembre 2009

Il plot e il coraggio di cambiare

Plot. E' una parola tosta da tradurre, perchè in inglese sintetizza un mucchio di significati. Non è solo trama, ma anche ritmo, coinvolgimento e tutto quanto può portare a tenere il lettore ancorato a un libro fino all'ultima pagina.
Plot è la parola che più spesso mi è capitato di sentir pronunciare durante le conversazioni con gli autori americani. E quando ho accennato qualcosa sui miei romanzi mi sono sentito dire (con sollievo) "ah, so you're a plot guy".
Il che dovrebbe suonare come un complimento a uno che tenta (a prescindere che ci riesca o meno) di dare trama, ritmo e coinviolgimneto alla storia che racconta.
Plot è la cosa che sembra contare di più nella letteratura americana contemporanea. A guardare bene anche in libri letterariemente complessi come L'informazione di Marin Amis o Le correzioni di Jonathan Franzen c'è una buona dose di trama. C'è sempre qualcosa che accade, una trasformazione che riguarda il protagonista.
Parlando con un autore americano mi è capitato di discutere dei libri italiani tradotti negli Usa, un mercato da sogno per qualunque scrittore, quasi inarrivabile. Un agente mi ha detto che gli editori statunitensi cercano dagli autori italiani proprio quella letterarietà pura che ne è la cifra stilistica più riconoscibile. Da qui, ad esempio, la contesa per aggiudicarsi i diritti di Tempo materiale di Giorgio Vasta, libro letterariamente straordinario e dalla narrazione densa.
Tra le chiacchiere però mi è venuto il dubbio che quella assenza di plot di cui alcuni ambienti letterari si fanno vanto non sia poi davvero un bene.
Se ripenso a quello che gli americani intendono per plot - il percorso che il protagonista compie da A a B e la mutazione che subisce o imprime alle cose - mi rendo conto che manca in alcuni dei più recenti succesi letterari. Come è possibile, mi chiedo, che un libro in cui non succede nulla scali le classifiche? Che la semplice narrazione di vite dolorose o vuote, senza alcun accadimento o mutazione nel mezzo, riesca a coinvolgere decine di migliaia di lettori in barba ai precetti della scuola americana?
Forse la risposta sta in quello che un libro, molto spesso, deve essere: lo specchio dei propri tempi.
Forse libri che non raccontano mutamenti nè riscatti e affogano invece nella frustrazione di personaggi incapaci di imprimere una qualunque svolta sono l'esatto specchio di questa Italia in cui tanti sono prontissimi a lamentarsi del proprio lavoro o del proprio matrimonio, ma non hanno il coraggio di fare qualcosa per cambiare.
E forse è questo che manca a certa nostra letteratura: il coraggio di cambiare e di accettare il cambiamento.

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