Lo confesso: quando ho rimesso piede al Liceo Umberto, più di vent'anni dopo esserne uscito, l'ho fatto soprattutto per me stesso. Tornare nel proprio Liceo, nei panni di insegnante, è come una festa a sorpresa: un'emozione che tutti dovrebbero provare. E' come un messaggio, il segnale che si è fatto qualcosa di buono nella vita.
Non è cambiato molto. Ho la vaga idea che alcuni banchi siano ancora quelli di allora e se le aule mi sono sembrate più piccole è solo perché è stato montato il controsoffitto. Ho ripensato ai miei compagni di scuola. Alle grandi aspettative che circondavano alcuni di noi e alle grandi sorprese che sono seguite. Se scorro l'elenco posso contare un regista cinematografico e uno televisivo, un oncologo, un cardiologo e (dicono) un neurochirurgo; un medico che organizza missioni umanitarie in Africa; un chimico che anni fa ha vinto il premio come più brillante giovane scienziato europeo; un architetto e un numero imprecisato di insegnanti, tra cui una che sta proprio lì, all'Umberto.
Poi ho incontrato loro, quelli che per 25 ore sarebbero stati i miei allievi. Sono abituato ad avere una paio di centinaia di studenti in aula alla Sapienza, ma un gruppo di ragazzini diciassettenni che per tre ore al giorno devono sentirmi parlare di scrittura creativa - mi sono detto - è un'altra cosa. Avevo ragione: è stata un'altra cosa. Un'esperienza straordinaria. Una di quelle che riconciliano con il mondo e che mi hanno convinto che per una città come Palermo c'è ancora speranza.
Intelligenze vivaci, pronte, costruttive e creative. Pungenti e reattive. Riserve di energie illimitate, voglia di fare, volontà di restare sui banchi per altre tre ore dopo cinque ore di lezione avute al mattino.
Non uno, non uno di loro mi ha deluso. Persino i più irrequieti/e (c'erano anche quelli/e). Mi sono divertito, mi sono rinfrancato. E andando via ho varcato il portone con un sorriso che non era più malinconico.
1 commento:
Che bello...peccato siano solo poche righe
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