Non ho fatto in tempo. Ora mi sento male, come se avessi potuto salvarlo, e so che per sempre mi rimprovererò di non essere andato a trovarlo subito. Non sarebbe servito ad allungargli la vita, ma l'avrebbe allungata a me, perché ogni chiacchierata con Ugo Riccarelli era come una boccata di ossigeno, una iniezione di vitalità. Era come se la vita che lui sentiva sfuggire volesse donarla a quelli che incontrava. Con il suo humor, con la sua raffinatezza, con la sua eleganza, con la sua passione.
Non è un mistero che spesso gli scrittori è molto meglio leggerli che conoscerli: alcuni si rivelano persone meschine e biliose, incapaci di godere della meraviglia della vita. Conoscere Ugo, invece, era meraviglioso quanto leggerlo. Sulla pagina era un'emozione continua (e continuerà ad esserlo per sempre, grazie a Dio) e passare qualche ora con lui era un'esperienza straordinaria. Ho avuto il privilegio di conoscerlo, ho la colpa di non averlo frequentato abbastanza. Mi aveva telefonato, quando era ricoverato a Palermo, perché pensava che fossi là. Si annoiava, voleva fare quattro chiacchiere. Ma io non ero a Palermo. Non ci sono mai quando serve. E ho mancato un appuntamento importante, al quale, per fortuna, è andato un amico comune: Roberto Alajmo. L'ultima volta che ho sentito Ugo è stato la settimana scorsa. Gli ho telefonato per sapere come stava. 'Male' mi ha detto, quasi senza voce, ma poi ha fatto una battuta. Una di quelle sue battute che ti aprivano il cuore, che ti facevano pensare che anche questa volta l'avrebbe sfangata. 'Vengo a trovarti appena rientro dalle ferie' gli avevo promesso.
Non sono tornato in tempo.
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