In molti mi hanno chiesto qualcosa di più sulla missione AGI in Libano. Ecco un servizio del Tg2 che spiega cosa siamo andati a fare.
Due Madri - il booktrailer - in libreria dal 14 aprile
sabato 27 settembre 2008
mercoledì 24 settembre 2008
In the mood for writing
Non riesco a scrivere senza musica, anche se a volte non riesco a scrivere con la musica. Accade quando la musica è sbagliata.
Quando i brani che ho scelto (ormai i cd restano a prendere polvere: uso i pezzi che ho scaricato su iTunes) non sono in sintonia con quello che voglio scrivere e la musica diventa una specie di fastidio.
Mi rallenta, mi distrae, fa fuggire le idee. Non è facile trovare la giusta combinazione di musica e umore; si rischia di perdere più tempo a cercare i pezzi che le parole giuste.
Mio cognato - che, per inciso, mezz'ora fa si è laureato in Ingegneria Aerospaziale con 110 e lode (applausi e commozione) - mi ha offerto su un piatto d'argento la soluzione ideale. Si chiama Musicovery, è gratis, è sul web ed è grandiosa.
Non è altro che una piccola consolle sulla quale bisogna indicare di che mood ci si sente (i punti cardinali sono: dark, positivo, energico e calmo e si possono miscelare a piacimento) e il sistema crea automaticamente una formidabile compilation che nove volte su dieci azzecca una sequenza di brani perfetta per mettersi al pc e cominciare a tempestare la tastiera. Provare per credere. Presto o tardi parleremo anche di Genius di iTunes.
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giovedì 18 settembre 2008
La magia di Testaccio, il Pizzettiere e gli impavidi di Quattrolibri
Ero in ritardo, come sempre. Mi ero affidato alla illusoria certezza che tanto Testaccio è a un tiro di schioppo dall'Agi e che in una decina di minuti sarei arrivato. Ma non avevo fatto i conti con gli (eterni) lavori su via Marmorata e soprattutto con la cronica carenza di posteggio nel rione XX (suggerimento per quegli scellerati che volevano sforacchiare il Pincio per uno stupido, inutile, ridicolo parcheggio per straricchi: andate a farlo a Testaccio un parcheggio se proprio vi scappa).
Fatto sta che quando sono arrivato in piazza Santa Maria Liberatrice sono rimasto a bocca aperta. Prima perché non c'ero mai stato (ahimè come romano d'adozione faccio davvero schifo) e poi perché erano anni che non vedevo più una piazza vera, di quelle cioè con i giochi per i bambini nel mezzo, una marea di gente vociante, gli uccelletti a fare un chiasso di inferno sui rami e decine di botteghe una a fianco all'altra e nessuna che superi le due vetrine, quasi a non voler togliere spazio agli altri.
Mi è sempre piaciuto Testaccio, fin da quando, a vent'anni, frequentavo un locale che si chiamava il Classico e che non so neppure se esista ancora.
Ma nella follia della routine quotidiana mi è capitato molto di rado negli ultimi anni di frequentarlo, anche se quasi ogni giorno mi faccio tutta via Marmorata per raggiungere la redazione. Mi basterebbe, a pensarci bene, partire un giorno un'ora prima, mollare la macchina da qualche parte (risate del pubblico) e inoltrarmi per le strade regolari e popolari di quello che probabilmente è uno degli ultimi veri rioni romani. Vabbè, resta come buon proposito.
Fatto sta che ero in ritardo. Rita Charbonnier mi ha telefonato per chiedermi con la cortesia e il tono pacato di cui solo una vera gentildonna come lei può essere capace dove ohibò mi trovassi, dato che aspettavano me per cominciare con Quattro Libri al Bar. Ho mollato la mia macchina vicino a un cassonetto (con gravi rischi perché è talmente sporca che è facile confondersi) e sono arrivato al Pizzettiere.
Dal punto di vista strategico la cosa non poteva essere organizzata meglio. Il Pizzettiere - che, per chi non lo sa, sta lì da 50 anni - è gomito a gomito con la bellissima libreria di Testaccio (posto da frequentare assolutamente, ma in quest'ordine: prima libreria poi pizza perché sennò sfogliando per curiosare lasciate una vaga ombra di olio-mozzarella-fioridizucca sulle pagine) e avevamo a nostra disposizione uno spazio con tavoli, sedie, ombrelloni, microfono e amplificatore.
Com'è andata lo può dire solo chi c'era. Io dico benissimo per un sacco di motivi. Primo perché i passi che abbiamo scelto io, Rita e un collega dell'Espresso di cui non riesco a ricordare il nome anche se me lo sono fatto ripetere tre volte erano bellissimi e poi perché Bruno Contigiani, organizzatore di tutta la manifestazione, può ben dire di aver inanellato un altro successo. Eravamo più o meno una quarantina, ma si aggiungeva gente in continuazione, nell'autentico spirito della cosa. Persone che passavano e restavano incuriosite da questa banda di sciroccati che leggeva ad alta voce e si fermavano per unirsi a loro volta alla banda di non meno sciroccati che li stava ad ascoltare.
Bellissimo! E ancora più bello è stato sentire una signora che chiedeva a Bruno quando si sarebbe ripetuta una cosa così carina. "Fra un anno" le ha risposto Bruno. "Un anno?" ha esclamato la signora sorpresa e indignata, prima di correre a protestare con il proprietario della libreria (che non c'entrava nulla) che lei non ci pensava neppure ad aspettare un altro anno per star dietro a un pugno di illusi che si alza in piedi nel mezzo di un bar e si mette a leggere pagine scelte da un libro.
Magari un bel libro.
Fatto sta che quando sono arrivato in piazza Santa Maria Liberatrice sono rimasto a bocca aperta. Prima perché non c'ero mai stato (ahimè come romano d'adozione faccio davvero schifo) e poi perché erano anni che non vedevo più una piazza vera, di quelle cioè con i giochi per i bambini nel mezzo, una marea di gente vociante, gli uccelletti a fare un chiasso di inferno sui rami e decine di botteghe una a fianco all'altra e nessuna che superi le due vetrine, quasi a non voler togliere spazio agli altri.
Mi è sempre piaciuto Testaccio, fin da quando, a vent'anni, frequentavo un locale che si chiamava il Classico e che non so neppure se esista ancora.
Ma nella follia della routine quotidiana mi è capitato molto di rado negli ultimi anni di frequentarlo, anche se quasi ogni giorno mi faccio tutta via Marmorata per raggiungere la redazione. Mi basterebbe, a pensarci bene, partire un giorno un'ora prima, mollare la macchina da qualche parte (risate del pubblico) e inoltrarmi per le strade regolari e popolari di quello che probabilmente è uno degli ultimi veri rioni romani. Vabbè, resta come buon proposito.
Fatto sta che ero in ritardo. Rita Charbonnier mi ha telefonato per chiedermi con la cortesia e il tono pacato di cui solo una vera gentildonna come lei può essere capace dove ohibò mi trovassi, dato che aspettavano me per cominciare con Quattro Libri al Bar. Ho mollato la mia macchina vicino a un cassonetto (con gravi rischi perché è talmente sporca che è facile confondersi) e sono arrivato al Pizzettiere.
Dal punto di vista strategico la cosa non poteva essere organizzata meglio. Il Pizzettiere - che, per chi non lo sa, sta lì da 50 anni - è gomito a gomito con la bellissima libreria di Testaccio (posto da frequentare assolutamente, ma in quest'ordine: prima libreria poi pizza perché sennò sfogliando per curiosare lasciate una vaga ombra di olio-mozzarella-fioridizucca sulle pagine) e avevamo a nostra disposizione uno spazio con tavoli, sedie, ombrelloni, microfono e amplificatore.
Com'è andata lo può dire solo chi c'era. Io dico benissimo per un sacco di motivi. Primo perché i passi che abbiamo scelto io, Rita e un collega dell'Espresso di cui non riesco a ricordare il nome anche se me lo sono fatto ripetere tre volte erano bellissimi e poi perché Bruno Contigiani, organizzatore di tutta la manifestazione, può ben dire di aver inanellato un altro successo. Eravamo più o meno una quarantina, ma si aggiungeva gente in continuazione, nell'autentico spirito della cosa. Persone che passavano e restavano incuriosite da questa banda di sciroccati che leggeva ad alta voce e si fermavano per unirsi a loro volta alla banda di non meno sciroccati che li stava ad ascoltare.
Bellissimo! E ancora più bello è stato sentire una signora che chiedeva a Bruno quando si sarebbe ripetuta una cosa così carina. "Fra un anno" le ha risposto Bruno. "Un anno?" ha esclamato la signora sorpresa e indignata, prima di correre a protestare con il proprietario della libreria (che non c'entrava nulla) che lei non ci pensava neppure ad aspettare un altro anno per star dietro a un pugno di illusi che si alza in piedi nel mezzo di un bar e si mette a leggere pagine scelte da un libro.
Magari un bel libro.
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sabato 13 settembre 2008
Per non dimenticare Graziella Campagna
Qualcuno di voi, consultando la mia agenda, avrà visto che il 26 settembre sarò a Palermo per partecipare alle Giornate della Legalità. Sarà occasione per presentare nuovamente La Scelta, una raccolta di racconti voluta dalla casa editrice 'Novantacento' per ricordare le vittime di mafia. Nel racconto La stiratrice di Saponara ho scelto di parlare di Graziella Campagna, una ragazza della provincia di Messina uccisa a 18 anni per aver visto una cosa che non doveva vedere. La prima presentazione del volume è stata nel novembre scorso: occasione per un interessante confronto tra gli autori della raccolta - Antonio Ingroia, Filippo D'Arpa, Daniele Billitteri e Domenico Seminerio - e personaggi come Andrea Vecchio, Nino Salerno e Rodolfo Guajana che Radio Radicale ha registrato e conserva nei suoi archivi. La trovate qui. Buon ascolto.
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giovedì 11 settembre 2008
I teutonici vandali di Pompei
Sono facile all'indignazione. E' un mio limite, forse, ma cose come i graffiti sul ponte di Corso Francia; la gente senza casco sui motorini o senza cintura in auto e quelli che saltano le file mi mandano in bestia. E mi capita di cadere nella trappola del qualunquismo e di pensare cose come: "in Germania questo non succederebbe" o "in Giappone gli taglierebbero una mano".
Mi sono dovuto ricredere.
Abbiamo portato i bambini a Pompei. Lucrezia ha appena studiato i romani, Leonardo è un appassionato di storia e ci è sembrato il posto più logico. Giravano per le vie della città con la bocca spalancata e uno stupore senza fine, proprio come quelle decine di turisti stranieri che in gruppi serrati come centurie passavano da una casa all'altra ammirando lo splendore di mosaici e affreschi e impallidendo di fronte all'incuria e alla pietosa scena dei (pochi) guardiani addormentati sulle sedie.
Io un po' mi beavo, di nuovo preda di un italico qualunquismo. "Ecco" pensavo tra me e me, "voi questo a casa vostra non ce l'avete". E ammiravo il contegno con cui si muovevano tra le rovine. Anzi del contegno con cui mi illudevo si muovessero tra le rovine. Perché ad un tratto hanno cominciati a saltarmi agli occhi alcuni particolari. Come la trippona che nella Casa di Stefano appoggiava immense natiche teutoniche alla vasca affrescata nella quale il tintore di duemila anni fa immergeva le sue stoffe. O i due adolescenti che toccavano con le mani sudate i delicati dipinti sulle pareti.
"Papà, quelli toccano" ha detto Leonardo guardandoli indignato.
"Lo vedo" è stata l'unica cosa che sono stato capace di dire.
Quando mi sono avvicinato a loro per rimproverarli li ho sentiti parlare in tedesco.
Ma come? Non dovevano essere il faro della civiltà europea? L'esempio di ordine e buon comportamento. Non erano quelli che trent'anni fa schiaffavano sulla copertina dello Spiegel un piatto di spaghetti condito con una pistola facendoci vergognare a morte dell'italico tasso criminale? Non erano quelli che poche settimane fa accusavano il Festival del Cinema di Venezia di provincialismo? Non erano quelli che, sempre sullo Spiegel, spiegavano con dotto piglio perché gli italiani, un tempo così amati oggi non lo sono più?
Virginia - l'amica che era in viaggio con noi - è stata più veloce di me. Ha urlato alla guida del gruppo di stare attenta a dove il suo gregge metteva le zampe. Ma quella (per la cronaca, una guida della Msc Crociere) si è limitata a stringersi nelle spalle come a dire "sapete quante volte gliel'ho ripetuto?".
La trippona ha finalmente sollevato le chiappe dalla vasca e i ragazzini hanno graziato l'affresco sopravvissuto al Vesuvio per andare a fare danni da un'altra parte.
E a me è rimasta sulla punta della lingua il rimprovero e nel fegato la rabbia per non aver agito più in fretta. Rimuginando insulti mi sono avviato lungo la strada e giusto pochi passi oltre ho trovato un'altra sorpresa. Due ragazze giapponesi guardavano una finestra e poi confabulavano tra loro. Con i miei trenta centimetri in più di altezza riuscivo a vedere che oltre quella finestra si poteva spiare nel giardino di una villa patrizia, ma sarebbe bastato spostarsi mezzo metro più in là per godere dello stesso spettacolo attraverso la porta aperta. Ma loro no: dovevano provare l'emozione del free-climbing. Così una si è arrampicata su una pietra sporgente e si è sollevata fino ad altezza di occhi. Ma Pompei, si sa, non è fatta di cemento armato e se ha resistito alla cenere del Vesuvio, non può reggere il peso di un obiettivo Nikon 70-210 che si porta appresso 40 chili di giapponesina. Così la pietra ha ceduto, la nippoturista è rimasta appesa alla finestra come Willy Coyote e un pezzo di muratura che duemila anni fa un manovale aveva sistemato con cura bestemmiando in latino contro il caldo è rotolato via.
"Ehi!" ho urlato. Quella appesa è caduta come una pera dall'albero; quell'altra mi ha guardato come se l'avessi appena sorpresa a spacciare eroina davanti a un asilo nido. Avrei potuto spiegare in inglese le ragioni della mia rabbia, ma non l'ho fatto neppure in italiano. Ho fatto ricorso all'intonazione minacciosa che solo un certo tipo di accento palermitano può rendere. Eppure credo che abbiano capito.
Anche i miei figli hanno capito. "Se continua così, fra dieci anni qui non resterà più niente" hanno borbottato, carichi di una sana, italica indignazione.
Mi sono dovuto ricredere.
Abbiamo portato i bambini a Pompei. Lucrezia ha appena studiato i romani, Leonardo è un appassionato di storia e ci è sembrato il posto più logico. Giravano per le vie della città con la bocca spalancata e uno stupore senza fine, proprio come quelle decine di turisti stranieri che in gruppi serrati come centurie passavano da una casa all'altra ammirando lo splendore di mosaici e affreschi e impallidendo di fronte all'incuria e alla pietosa scena dei (pochi) guardiani addormentati sulle sedie.
Io un po' mi beavo, di nuovo preda di un italico qualunquismo. "Ecco" pensavo tra me e me, "voi questo a casa vostra non ce l'avete". E ammiravo il contegno con cui si muovevano tra le rovine. Anzi del contegno con cui mi illudevo si muovessero tra le rovine. Perché ad un tratto hanno cominciati a saltarmi agli occhi alcuni particolari. Come la trippona che nella Casa di Stefano appoggiava immense natiche teutoniche alla vasca affrescata nella quale il tintore di duemila anni fa immergeva le sue stoffe. O i due adolescenti che toccavano con le mani sudate i delicati dipinti sulle pareti.
"Papà, quelli toccano" ha detto Leonardo guardandoli indignato.
"Lo vedo" è stata l'unica cosa che sono stato capace di dire.
Quando mi sono avvicinato a loro per rimproverarli li ho sentiti parlare in tedesco.
Ma come? Non dovevano essere il faro della civiltà europea? L'esempio di ordine e buon comportamento. Non erano quelli che trent'anni fa schiaffavano sulla copertina dello Spiegel un piatto di spaghetti condito con una pistola facendoci vergognare a morte dell'italico tasso criminale? Non erano quelli che poche settimane fa accusavano il Festival del Cinema di Venezia di provincialismo? Non erano quelli che, sempre sullo Spiegel, spiegavano con dotto piglio perché gli italiani, un tempo così amati oggi non lo sono più?
Virginia - l'amica che era in viaggio con noi - è stata più veloce di me. Ha urlato alla guida del gruppo di stare attenta a dove il suo gregge metteva le zampe. Ma quella (per la cronaca, una guida della Msc Crociere) si è limitata a stringersi nelle spalle come a dire "sapete quante volte gliel'ho ripetuto?".
La trippona ha finalmente sollevato le chiappe dalla vasca e i ragazzini hanno graziato l'affresco sopravvissuto al Vesuvio per andare a fare danni da un'altra parte.
E a me è rimasta sulla punta della lingua il rimprovero e nel fegato la rabbia per non aver agito più in fretta. Rimuginando insulti mi sono avviato lungo la strada e giusto pochi passi oltre ho trovato un'altra sorpresa. Due ragazze giapponesi guardavano una finestra e poi confabulavano tra loro. Con i miei trenta centimetri in più di altezza riuscivo a vedere che oltre quella finestra si poteva spiare nel giardino di una villa patrizia, ma sarebbe bastato spostarsi mezzo metro più in là per godere dello stesso spettacolo attraverso la porta aperta. Ma loro no: dovevano provare l'emozione del free-climbing. Così una si è arrampicata su una pietra sporgente e si è sollevata fino ad altezza di occhi. Ma Pompei, si sa, non è fatta di cemento armato e se ha resistito alla cenere del Vesuvio, non può reggere il peso di un obiettivo Nikon 70-210 che si porta appresso 40 chili di giapponesina. Così la pietra ha ceduto, la nippoturista è rimasta appesa alla finestra come Willy Coyote e un pezzo di muratura che duemila anni fa un manovale aveva sistemato con cura bestemmiando in latino contro il caldo è rotolato via.
"Ehi!" ho urlato. Quella appesa è caduta come una pera dall'albero; quell'altra mi ha guardato come se l'avessi appena sorpresa a spacciare eroina davanti a un asilo nido. Avrei potuto spiegare in inglese le ragioni della mia rabbia, ma non l'ho fatto neppure in italiano. Ho fatto ricorso all'intonazione minacciosa che solo un certo tipo di accento palermitano può rendere. Eppure credo che abbiano capito.
Anche i miei figli hanno capito. "Se continua così, fra dieci anni qui non resterà più niente" hanno borbottato, carichi di una sana, italica indignazione.
P.S.: la foto è stata scattata senza flash per non danneggiare l'affresco. Ma ero l'unico a usare questa accortezza.
martedì 9 settembre 2008
Welcome in Villa San Gennariello
Questa volta le vacanze sono davvero finite. Ci siamo goduti una settimana in giro per la Campania ed è ora di tornare al lavoro.
Roma è già ingolfata del traffico stordito di chi non si è ancora rassegnato al rientro, ma prima di riprendere il ritmo voglio dare un'ultima occhiata ai giorni passati tra Ercolano, Pompei, Caserta, Napoli e Ischia. E soprattutto voglio tracciare una netta linea di demarcazione tra due esperienze che prima non mi era capitato di mettere così strettamente a confronto: le vacanze in albergo e quelle in bed&breakfast.
Con i B&B, diciamo la verità, ci vuole una buona dose di fortuna. E noi l'abbiamo avuta. Proprio sul confine tra Ercolano e Portici abbiamo trovato un posto incantevole: il B&B Villa San Gennariello. Una villa del Settecento arredata in modo raffinato e ricca di quell'atmosfera che cerca chi vuole sfuggire alle vacanze all-inclusive. Stucchi, affreschi, un lussureggiante giardino all'inglese con così tante fontane che i miei figli non riuscivano a tenerne il conto. E soprattutto la compagnia di Francesco e della sua famiglia. Qualcuno mi ha detto che non c'è nulla di più piacevole della conversazione con un napoletano colto. Dopo le chiacchiere scambiate con Francesco sulla terrazza che si affaccia sul Golfo di Napoli posso dire che questo qualcuno aveva ragione.
Una cosa in particolare ricorderò: l'espressione con cui Francesco ci ha annunciato che quando l'eruzione verrà - "perché verrà, è solo questione di tempo" - lui non scapperà verso il mare come fecero duemila anni fa i suoi avi. "Verrò quassù in terrazza e me la godrò tutta, anche se sarà l'ultima cosa che farò" ha detto con un sorriso.
E con poche parole mi ha fatto capire sui napoletani più di quanto fiumi di inchiostro sulla monnezza, sui bambini senza casco sui motorini, sulla Camorra, sui Bassolino e i Jervolino abbiano fatto in tanti anni. Un po' come leggere Erri De Luca o Andrej Longo.
Roma è già ingolfata del traffico stordito di chi non si è ancora rassegnato al rientro, ma prima di riprendere il ritmo voglio dare un'ultima occhiata ai giorni passati tra Ercolano, Pompei, Caserta, Napoli e Ischia. E soprattutto voglio tracciare una netta linea di demarcazione tra due esperienze che prima non mi era capitato di mettere così strettamente a confronto: le vacanze in albergo e quelle in bed&breakfast.
Con i B&B, diciamo la verità, ci vuole una buona dose di fortuna. E noi l'abbiamo avuta. Proprio sul confine tra Ercolano e Portici abbiamo trovato un posto incantevole: il B&B Villa San Gennariello. Una villa del Settecento arredata in modo raffinato e ricca di quell'atmosfera che cerca chi vuole sfuggire alle vacanze all-inclusive. Stucchi, affreschi, un lussureggiante giardino all'inglese con così tante fontane che i miei figli non riuscivano a tenerne il conto. E soprattutto la compagnia di Francesco e della sua famiglia. Qualcuno mi ha detto che non c'è nulla di più piacevole della conversazione con un napoletano colto. Dopo le chiacchiere scambiate con Francesco sulla terrazza che si affaccia sul Golfo di Napoli posso dire che questo qualcuno aveva ragione.
Una cosa in particolare ricorderò: l'espressione con cui Francesco ci ha annunciato che quando l'eruzione verrà - "perché verrà, è solo questione di tempo" - lui non scapperà verso il mare come fecero duemila anni fa i suoi avi. "Verrò quassù in terrazza e me la godrò tutta, anche se sarà l'ultima cosa che farò" ha detto con un sorriso.
E con poche parole mi ha fatto capire sui napoletani più di quanto fiumi di inchiostro sulla monnezza, sui bambini senza casco sui motorini, sulla Camorra, sui Bassolino e i Jervolino abbiano fatto in tanti anni. Un po' come leggere Erri De Luca o Andrej Longo.
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